
Manon Lescaut di Giacomo Puccini proposta in un tradizionale allestimento al Teatro Galli di fronte a un pubblico numerosissimo
RIMINI, 13 febbraio 2022 – Quattro atti che mettono in scena altrettanti episodi senza tenere conto dei nessi narrativi previsti nel romanzo dell’abate Prévost, da dove è tratta Manon Lescaut, tragica vicenda in cui s’intrecciano passione e morte. Scene ben circoscritte, che si riferiscono a momenti diversi nella breve esistenza della protagonista, lasciandone sottintesi i collegamenti: non importa, perché riescono ugualmente a delineare un capolavoro per merito della musica di Puccini, capace di suscitare emozioni fortissime, che avvincono l’ascoltatore.
Per quello che fu il suo primo grande successo, il trentacinquenne compositore – oltre al proprio intervento – si era avvalso, nella stesura del libretto, di ben sei collaboratori: da Illica e Giacosa a Leoncavallo e Praga, cui si erano aggiunti il critico Domenico Oliva e l’editore Giulio Ricordi. Insomma non nomi qualsiasi, ma il meglio degli scrittori teatrali di quegli anni.

D’altra parte non era il caso di seguire passo dopo passo gli avvenimenti del romanzo, come aveva fatto appena nove anni prima Massenet nella sua Manon: avrebbe significato sottoporsi a confronti imbarazzanti con quello che era diventato un clamoroso successo internazionale. Comunque il musicista lucchese aveva visto giusto e quando Manon Lescaut andò in scena a Torino, nel 1893, divenne subito chiaro che il passaggio del testimone tra l’ormai anziano Verdi e il giovane Puccini era divenuto una certezza.
Una storia d’amore così disperata e struggente, e dunque di grandissima modernità, non poteva che trarre giovamento da una sintetica organizzazione drammaturgica, mentre il rovescio della medaglia è rappresentato dall’impegno richiesto agli interpreti: devono disegnare personaggi che, da un atto all’altro, hanno subito profonde trasformazioni psicologiche, cui corrispondono – aspetto assai più problematico – anche sostanziose modifiche sul piano vocale. Detto in altre parole, ci vogliono cantanti solidissimi e direttori perfettamente consapevoli di quanto c’è dietro a una musica in apparenza legata a scorrevoli melodie, e invece permeata in profondità dagli insegnamenti wagneriani, soprattutto del Tristano. Per questo motivo è un’opera poco adatta a produzioni “di provincia” dove spesso non si hanno a disposizione cantanti di grande carisma.
Nello spettacolo andato in scena al Teatro Galli di Rimini – frutto di una coproduzione con Lucca, Modena, Ravenna, Pisa, Ferrara – e che ha già debuttato nella città natale di Puccini, però si poteva contare sulle ben note qualità dell’Orchestra Cherubini: i suoi meriti sono emersi soprattutto negli ultimi due atti, dall’Intermezzo in poi, quando la bacchetta di Marco Guidarini ha saputo trarre dai giovani strumentisti sonorità suadenti e al tempo stesso drammatiche. Più problematico per il direttore, invece, tenere insieme buca e palcoscenico nel primo atto durante la scena collettiva degli studenti, dove ha una presenza importante anche il coro (qui era l’Arché, preparato da Lorenzo Biagi); mentre nel secondo non si avvertiva con sufficiente chiarezza il brusco scatto fra le convenzionali reminiscenze settecentesche e lo splendido duetto d’amore tra Manon e Des Grieux.
Cantante sempre sicura, il soprano Monica Zanettin si è trovata più a suo agio nell’affrontare la disperazione degli istanti finali che nell’aria In quelle trine morbide, per una voce che manca di quella rotondità necessaria a esaltarne i risvolti sensuali. Il tenore Paolo Lardizzone è andato crescendo nell’arco della recita, passando dalla scrittura più lirica di Donna non vidi mai a un assai convincente Ah, non vi avvicinate!, dove la vocalità di Des Grieux diventa sempre più spinta. Accanto a loro il baritono Marcello Rosiello riesce a imprimere una certa fisionomia a Lescaut, il fratello della protagonista, mentre Luciano Leoni disegna un Geronte ben timbrato ed efficace in scena. Fra i personaggi minori da ricordare il mezzosoprano Irene Molinari, un Musico preciso e garbato; i tenori Saverio Pugliese e Cristiano Olivieri: l’uno impegnato nel ruolo dello studente Edmondo, l’altro nei personaggi del Maestro di ballo e del Lampionaio; e ancora il basso Alessandro Ceccarini, un sonoro Comandante di Marina.
L’allestimento di Aldo Tarabella si avvaleva della scena di Giuliano Spinelli – edifici inclinati con prospettive sghembe, per tanti aspetti simili a quelle cui ci aveva abituato Luca Ronconi – e dei costumi di Rossana Monti, che guardano a un passato sospeso fra sette e ottocento. Nell’insieme uno spettacolo molto rassicurante nella sua impostazione tradizionale.
Giulia Vannoni