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Vita da strada, giovani ai margini

Li vediamo attardarsi nel centro di Rimini; in zona Arco d’Augusto e nel tratto prospiciente del Parco Cervi; sotto i portici di Piazza Cavour; al Parco Marecchia. E poi in Piazza Ganganelli e nel parco clementino a Santarcangelo. O in Piazza Europa a Villa Verucchio, vicino alla chiesa. Gli esperti non individuano più gruppi stanziali come avveniva un tempo, quando si parlava di “bande”. Sempre più mobili e multietnici, i giovani di oggi si ritrovano per strada pensando di non avere alternative su come passare il tempo. Con il lavoro che si fatica a trovare e i soldi che scarseggiano, in tanti spendono quelli che rimangono in marijuana per rendere i pensieri più “leggeri”, almeno per il momento.
Chi spaccia sa dove trovarli. Attorno alle cinta romane – così racconta a il Ponte un giovane che assiste abitualmente a queste scene, e che ne è stato persino coinvolto – si aggirano individui solitari che fermano ragazzi, persino minorenni, chiedendo prima “vuoi una sigaretta?” e poi “vuoi dell’erba?”. Un locale del centro – prosegue il giovane – è persino conosciuto per il proprietario che vende la “magica” erba. Campanelli d’allarme che fanno riflettere sul persistere di traffici illeciti in Riviera. Ad interessarci in questa sede è, però, il problema a monte. Perché ci sono ancora “giovani ai margini”? Qual è il loro identikit? Le responsabilità sono tutte della crisi o anche di adulti poco attenti? Quali le risposte educative del territorio?

Giovani “a spasso”. La criticità fondamentale è il lavoro, come sottolinea Valerio Minicucci, coordinatore del Centro Giovani RM25 gestito dall’Associazione Sergio Zavatta che con la Fondazione Enaip, rappresenta in provincia la principale risposta del privato alle emergenze giovanili. Sono “ragazzi tra i 15 e i 22 anni, bassa scolarità, molti stranieri venuti in Italia da bambini, bassa formazione professionale. Anche se ce l’hanno, faticano a trovare un’occupazione, sia per la crisi che per incapacità nel cercare”. Il ridisegno dei tirocini, che prevede un contributo spese minimo di 450 euro mensili, non aiuta, secondo Minicucci: “Prima riuscivamo ad inserire molti giovani in azienda tramite stage gratuiti, portandoli ad avere un salario. Oggi rimangono a casa: i datori, in tempo di crisi, ci pensano due volte prima di pagare sconosciuti (magari stranieri, verso i quali c’è purtroppo maggiore diffidenza)”.

Senza obiettivi. Se da un lato i ragazzi si sentono smarriti, al contempo si riattivano subito, qualora messi nelle condizioni di poterlo fare. “Manca il desiderio – prosegue il coordinatore -, il sapere cosa fare della propria vita. I ragazzi non vedono più in là dell’oggi; c’è chi ha bellissime idee, ma fatica a concretizzarle. La politica, a differenza del passato, è percepita come lontanissima”. Se sollecitati, però, il desiderio ritorna, anche quello di occuparsi di temi socio-politici: “Abbiamo partecipato a un campo nei territori confiscati alla mafia al sud. Sono tornati estremamente propositivi, carichi di progetti. Per fortuna assistiamo ad un cambiamento di rotta nelle politiche sociali volte alla valorizzazione dell’individuo e delle sue capacità, non più limitandosi al solo assistenzialismo”.

Sempre più stranieri. Gli italiani al Centro RM 25 sono la minoranza. In genere provengono da contesti poco agiati, costretti a lavorare per aiutare la famiglia. Alcuni sono coinvolti in attività illegali e abusano di droghe. “C’è chi riusciamo ad aiutare, chi si iscrive all’università o ad altri corsi… ma devono essere loro i primi ad aiutarsi”. Per lo più sono stranieri che, compiuti 18 anni, necessitano di un lavoro per non finire in strada e in attività illecite. Gli iscritti al Centro sono 190. Nei mesi invernali una media di 40 ragazzi al giorno preferisce i suoi spazi alla piazza o al parco. Ci sono corsi di musica, arredo, italiano, poi recupero pomeridiano, cineforum, consulenza psicologia, confronto con adulti e coetanei, e aiuti pratici, come il compilare un curriculum o cercare lavoro.

Come intervenire? L’attività di strada del Centro – educatori che vanno alla ricerca di giovani per farsi conoscere ed offrire alternative – si è interrotta, dato che ci sono molti meno gruppi stanziali. “Smartphone e social network aiutano ad organizzarsi rapidamente e a spostarsi. Le bande sono emerse in altre città italiane; a Rimini di meno, e sono più che altro di stranieri”.
Chi invece svolge ancora progetti educativi di strada è la cooperativa Millepiedi. “Per agganciare i ragazzi in giro ci sono molte tecniche – racconta la coordinatrice dell’area giovani Tania Presepi -. Gli educatori si presentano e cercano di conquistare la loro fiducia. Cosa non facile dato che questi diffidano molto del mondo adulto, avvolti dal senso di immobilità e di noia. Ciò che conta è rispettare i loro spazi. Sollecitarli a scoprire il proprio potenziale”. E così se hanno, ad esempio, la passione per i graffiti, si chiedono permessi ai Comuni per realizzarli. “Seguendo la passione, cresce l’autostima: trovare una propria identità è sia curativo che preventivo!”. Dallo studioso al ragazzo dei portici, per questi ragazzi “non c’è un profilo tipo sulle condotte, ma solo sul bisogno: essere valorizzati”.
Quando c’è da tagliare, i fondi per le politiche sociali non vengono risparmiati, come ricordano tutti i responsabili. “I tagli sui progetti sono sempre maggiori – afferma Francesca Vitali, direttrice del Centro Enaip-Zavatta -, però riusciamo lo stesso ad andare avanti senza abbassare la qualità. Con i Servizi Sociali possiamo intervenire in maniera puntuale sul singolo ragazzo”. L’incognita decreto-province pesa anche su di loro dato che la Fondazione partecipa a tutti i bandi provinciali. Resta da vedere a chi passerà la palla di questo comparto.

I principali rischi. Secondo Silvia Sanchini, educatrice presso il Centro RM25, sono “gioco d’azzardo, dispersione scolastica, abuso di alcol e di droghe e sessualità. Rimini, città turistica, intercetta tutte le tendenze negative. E si nota anche un abbassamento dell’età in cui si assumono condotte sbagliate. Se non si assolve l’obbligo scolastico si è più esposti ai rischi della strada”.
Negli ultimi 5 anni, 110 studenti della provincia hanno abbandonato il circuito scolastico; peggio della media nazionale. “È poi in crescita il fenomeno delle mamme adolescenti. C’è tanta inconsapevolezza tra i giovani riguardo ad affettività e sessualità, anche tra chi non arriva a diventare genitore. Ragazzi che praticano sesso prima dell’innamoramento e in giovanissima età. Spesso per modelli educativi sbagliati, famiglie disastrate… L’educazione ha ancora margini di crescita in questo senso”.
Eppure, secondo Sanchini, ci si limita ancora troppo a pensare alla patologia e non al potenziale dei giovani. “Non bisogna nascondersi dietro lo psicologo, ma avviare progetti formativi”. Altro problema delle politiche giovanili? “Coinvolgono sempre gli stessi: coloro che hanno già competenze o una famiglia alle spalle. I giovani più emarginati, senza famiglia o stranieri, sono considerati di serie B”. Nonostante le tante risposte educative territoriali (molti centri giovani, la Ausl con il consultorio e il Sert, i gruppi parrocchiali, la scuola) “c’è sempre chi rimane escluso: quelli che non vanno a scuola, non hanno una famiglia, una struttura… Quelli più difficili da intercettare sono quelli che hanno più bisogno”.

Mirco Paganelli