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Viene il Pastore: comunità in festa

Dopo l’indizione ufficiale della Visita Pastorale, fatta dal Vescovo nella solennità di Pentecoste, eccoci finalmente al via: con la solennità di S. Gaudenzo, infatti, ha inizio concretamente questo lungo itinerario del Vescovo in visita alle sue parrocchie e realtà ecclesiali; visita che, a Dio piacendo, terminerà solo nel 2012.

I soggetti della Visita Pastorale
Ma è opportuno, di fronte ad un avvenimento così importante e ricco di prospettive, chiederci con più attenzione che cosa è la Visita Pastorale. E poiché i soggetti della Visita sono due, il Vescovo e la Comunità, vediamo di rispondere per entrambi.

Per il Vescovo la Visita Pastorale è un dono e un’occasione singolare per offrire il suo servizio di unità nella Chiesa diocesana come maestro, sacerdote e pastore; per conoscere da vicino, in modo globale e organico, la vita ordinaria delle comunità parrocchiali; per richiamare tutti i fedeli al rinnovamento della vita cristiana e ad un’azione “missionaria” più intensa, costante, incisiva; per rendersi conto delle possibilità e difficoltà nel servizio di evangelizzazione, per poi determinare meglio le priorità e le scelte da operare come Comunità diocesana.

Per le comunità e istituzioni che la ricevono, la Visita Pastorale è un evento di grazia che vuole riflettere quella specialissima visita con la quale Gesù nostro Pastore ha “visitato e redento il suo popolo”.
Naturalmente perché questa esperienza di vita ecclesiale sia profonda e porti frutti, sarà necessaria un’adeguata preparazione dei fedeli, soprattutto creando, con l’aiuto dello Spirito Santo, il clima di fede più adatto perché la Visita Pastorale venga vissuta da tutti (Vescovo, parroco e comunità) più come una grazia che come un fatto organizzativo o un adempimento del Diritto canonico.

I temi del confronto
Particolarmente impegnati nella preparazione saranno i Consigli Pastorali Parrocchiali coi loro sacerdoti per elaborare una relazione analitica su tutta la vita della propria comunità: da una descrizione della realtà socio-culturale, al tema dell’evangelizzazione, dalla catechesi di iniziazione cristiana dei fanciulli alla catechesi per adulti, da come si valorizza e si vive il giorno del Signore a come si cura la vita familiare e la preparazione ad essa…

La disponibilità di una settimana
Perché questo evento non sia vissuto frettolosamente, col rischio di trascurare aspetti importanti della vita cristiana, il Vescovo ha data la disponibilità di un’intera settimana per ciascuna parrocchia, ipotizzando un momento iniziale di incontro del Vescovo con la comunità, per ascoltare la parola di Dio, le esortazione del Vescovo stesso e la relazione sintetica sulla parrocchia preparata dal Consiglio Pastorale Parrocchiale.
La chiusura della Visita invece sarà caratterizzata da una solenne concelebrazione eucaristica, presieduta dal Vescovo e concelebrata dai sacerdoti presenti, al termine della quale sarà consegnato un “ricordo” della Visita stessa.
Fra l’apertura e la chiusura, ogni comunità potrà programmare col Vescovo molteplici attività: incontri col Consiglio Pastorale e col Consiglio per gli Affari Economici, con i gruppi degli operatori pastorali (catechisti, caritas, liturgia…), coi giovani, gli anziani, i ragazzi, con anziani e malati nelle loro case, con gruppi di sposi e famiglie, con realtà particolari del territorio (scuole, fabbriche, ospedali, consigli comunali…) …

“Noi pastori in solido”. L’Omelia del Vescovo nella festa di san Gaudenzo

“Non l’attivismo, ma la fraternità: ecco il dono numero uno che i presbiteri devono fare alla Chiesa e al mondo. Ogni sacerdote ha nel suo DNA di essere segno e servo della comunione”. Proprio ai preti, nell’Anno Sacerdotale voluto dal papa Benedetto XVI, il vescovo Francesco ha dedicato la sua omelia in occasione della festa del patrono San Gaudenzo.
“È l’eucaristia che fonda e fa crescere la Chiesa, rivela che la comunione non è una realtà da inventare o da produrre, ma da accogliere: è già data. Non è né il credente né il presbitero che la creano. Essi la incontrano”. Per questo “dedicare l’anno sacerdotale al tema della comunione non è un abbinamento forzato o convenzionale, artificiosamente escogitato per tenere stretti due temi disparati e distanti. Comunione e sacerdozio sono come i due archi di una stessa volta: o stanno insieme o insieme cadono”.   

“Il messaggio che se ne ricava – ha continuato mons. Lambiasi nell’omelia – è che non si può essere presbiteri ed esercitare il ministero da soli. Il sacerdote non è un battitore libero, un libero professionista, un accanito lavoratore in proprio, un solitario. Sia l’isolamento che il protagonismo sono due “influenze” ad alto rischio, da cui ogni presbitero deve premurosamente vaccinarsi. Invece l’invito alla collaborazione concorde e corresponsabile viene talvolta letto come una inutile complicazione; la raccomandazione di puntare a una “pastorale integrata”, come una frustrante perdita di tempo; i ministeri laicali, come indebita invasione di campo, e il servizio di coordinamento, come impaccio soffocante e mortificazione della propria creatività”.

In questo “anno sacerdotale”, dedicato nella nostra Diocesi all’impegnativo tema della comunione, noi pastori siamo chiamati a rimetterci in ascolto del mandato esaltante ed esigente, consegnatoci dal “Pastore grande delle pecore”: “… e di Me sarete testimoni”.
Ma per partecipare all’amore di Gesù per il suo gregge, per contribuire a fare di “mille voci, un solo coro”, i pastori devono sintonizzarsi con il maestro del coro, “il Capo dei pastori rappresentato dal vescovo”.
“Ce la faremo? – si chiede mons. Lambiasi – Ce la faremo a far percepire il nostro ‘canto’ alle nostre comunità, ai poveri, ai sofferenti, ai giovani che non riusciamo più ad incontrare, ai tanti cercatori di Dio, fino a raggiungere i fratelli che ci dovrebbero essere i più cari e sono coloro che non credono?”

Il vescovo Francesco enumera una serie di tentazioni escludendo però quelle della pigrizia, del disimpegno, della indifferenza, e neppure dell’avarizia o della cupidigia… “Vedo infatti in giro, tra le nostre file, per lo più segni palpabili di dedizione generosa e di provato spirito di sacrificio”.
I rischi sono però numerosi: c’è quello dello scoraggiamento, “a causa della sproporzione tra il molto lavoro nella vigna e il raccolto sempre troppo gramo”. Vi è la tentazione dell’amarezza “dovuta alla indifferenza dei “molti”, per cui pure continuiamo a spendere generosamente la vita“. C’è lo sconforto per la solitudine “che ci attanaglia l’anima, ci morde il cuore, e ci fa ripiegare su noi stessi a leccarci le piaghe, annegandoci di giorno in giorno tra le onde gelide del vittimismo”. Ne deriva il rischio della “curvitas, l’incurvamento narcisista, il ripiegamento morboso che ci rende scuri in volto, aspri nella lingua e tristi nel cuore. Sì, è la tristezza la nostra tentazione più subdola e infida”.

Il Vescovo indica l’antidoto più efficace al veleno del ripiegamento vittimista, quello dell’apertura. “Gli anticorpi contro il morbo letale dell’isolamento si chiamano condivisione e reciprocità. Quante volte nel NT risuonano raccomandazioni del tipo: ‘Perdonatevi gli uni gli altri, Correggetevi gli uni gli altri, Portate gli uni i pesi degli altri, Consolatevi a vicenda, Piangete con chi piange e gioite con chi gioisce…’. Queste esortazioni, prima di inoltrarle alle pecorelle affidateci, dobbiamo viverle nella trama delle relazioni reciproche tra noi pastori.