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Ventisette anni di lavori forzati

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Saranno beatificati il prossimo 5 novembre, a Shkodër (Scutari), i 38 martiri albanesi uccisi tra il 1945 e il 1974 dal regime comunista. Con il decreto di Papa Francesco del 26 aprile 2016, è stato deciso che monsignor Vinçenc Prennushi e 37 compagni  martiri albanesi possono essere proclamati beati. Il rito di beatificazione si svolgerà nella piazza della cattedrale di santo Stefano, a Shkodër, e sarà presieduto dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi.
Qui di seguito possiamo leggere la testimonianza di don Ernest Simoni,88 anni, martire sopravvissuto, raccolta da don Renzo Gradara. Don Simoni (conosciuto anche con il cognome di Troshani) sarà creato cardinale da papa Francesco. Lo ha annunziato il Pontefiche domenica 9 ottobre all’Angelus.

Sono nato a Scutari nel ’28 da una famiglia povera che viveva, come la maggior parte delle famiglie del tempo, con lavori saltuari legati al ciclo delle stagioni. La città non era grande e fuori dal centro era già campagna.
A dieci anni sono entrato nel Collegio francescano. C’era anche un altro seminario tenuto dai gesuiti, dove si formavano i sacerdoti diocesani. La vita della chiesa cattolica era molto fiorente, ma con l’avvento al potere dei comunisti nel ’44 è iniziata la persecuzione. Sono stati quasi duecento i religiosi incarcerati e uccisi.
Il Collegio francescano è rimasto aperto fino al ’48, quando un ex allievo, d’accordo con i comunisti, ha nascosto delle armi nell’altare del S.Cuore della chiesa di S.Francesco. Chiuso il seminario ho continuato lo studio della teologia di nascosto. Nel ’52 ho fatto il servizio militare di leva, con un trattamento particolarmente pesante perché venivo dal seminario.

L’otto aprile del ’56, domenica dopo Pasqua, ho potuto celebrare la mia prima Messa. Dopo sei mesi a Scutari, sono stato mandato a Barbolush come parroco fino alla vigilia di Natale del ’63. Tutto il popolo frequentava con molto zelo, anche se a costo di grossi sacrifici. Siccome le autorità comuniste accusavano le parrocchie di distogliere la gente dal lavoro, i fedeli venivano alla chiesa alle quattro del mattino per poter andare alle loro occupazioni alle sette.

Eravamo continuamente sotto stretto controllo della “Segurimi”, la polizia segreta. Hanno registrato le mie prediche per sette anni. Una delle accuse più gravi contro di me è stata la Messa celebrata alla morte del presidente degli Stati Uniti John Kennedy, così come era stato chiesto dal Papa.
Negli ultimi mesi del ’63 sono accaduti due fatti straordinari. Un giorno è venuto a trovarmi un musulmano turco, proveniente da Tirana con la moglie. Mi cercava perché suo figlio era caduto dal quarto piano di una casa ed era stato ricoverato in ospedale in fin di vita. I medici avevano diagnosticato la morte imminente, ma dopo pochi giorni improvvisamente il ragazzo si è alzato dal letto chiedendo da mangiare. Tutta Tirana era venuta a conoscenza del fatto. Il padre aveva avuto la visione di S. Antonio da Padova che gli aveva detto di venire nella chiesa di Barbolush, dove c’era una statua del santo: come ringraziamento ha lasciato tre bottiglie d’olio per alimentare la lampada davanti alla statua.
Dieci giorni prima di Natale, mentre celebravo la Messa, la gente ha visto l’immagine di S.Antonio che era sopra l’altare, muovere gli occhi verso di me, impallidire e piangere. L’arcivescovo di Scutari mi disse che un fatto simile si era verificato anche al santuario del Santo a Laç.

La vigilia di Natale del ’63, alle otto del mattino, quattro ufficiali della polizia segreta sono venuti a prendermi. La domanda di mia madre è rimasta senza risposta: “Cosa ha fatto di male mio figlio?”. Tutti sapevano che la mia preoccupazione era la fede dei miei parrocchiani e l’aiuto verso i poveri.
Nella prigione di Scutari, dove attualmente è stato aperto il monastero delle clarisse, sono stato spogliato e messo in una cella umida e sporca. Un mio amico è venuto a trovarmi in carcere e ha cominciato a dire ogni male dei comunisti. Alla fine mi ha chiesto cosa pensavo. Ho risposto che Gesù aveva detto di amare tutti. Questa frase, registrata come tutto il dialogo, è stata ascoltata anche dal dittatore Enver Hoxa che ha cambiato la condanna a morte in undici anni di lavori forzati.

Sono stato portato al campo di Spaç. Eravamo circa mille prigionieri, intellettuali e dissidenti, e dovevamo estrarre pirite dai 1500 metri di cunicoli che raggiungevamo utilizzando scale di legno tutte rotte. Mentre iniziavo a scendere dicevo: “Affido a Te Signore l’anima mia”.
Ogni anno venivano estratti cinque quintali d’oro. Il pane da mangiare era a sufficienza, ma le condizioni ambientali erano pessime. Per la scarsa protezione e i gas velenosi ogni tanto moriva qualcuno.
Finito il turno di lavoro dovevo pulire le latrine del campo. Cinque medici atei, guardando l’acqua che dovevamo bere dopo che era passata in condutture arrugginite e a contatto con gas velenosi, mi dicevano spesso: “Se a Scutari si bevesse quest’acqua sarebbero già morti tutti: si vede che c’è il Signore che ci protegge”. Eravamo ammucchiati come sardine: in una stanza di trenta metri quadrati, eravamo cinquantasei prigionieri, sdraiati su tavolati sopra i quali c’erano dei sacchi con dentro paglia.
Qualche volta riuscivo anche a celebrare la Messa, coperto dai cinque medici atei e da altri amici: spremevo degli acini d’uva e usavo il pane che ci davano, mentre la lingua latina della liturgia impediva a molti di capire cosa stavo facendo.

Questa fu la mia vita fino all’80, quando mi diedero la libertà condizionata: potevo abitare da mio fratello, ma dovevo lavorare sempre a sistemare fossi di scarico e fogne. Di notte, però, andavo nelle case a pregare, celebrare la Messa ed amministrare i sacramenti.
Una volta, ad Asta, si sono radunate centottanta persone e nessuno ha fatto sapere niente.
Il 10 settembre 1990 il capo della “Segurimi” di Scutari mi mandò a chiamare dicendomi che potevo celebrare la Messa pubblicamente e che sarebbero state riaperte le chiese. Pensavo fosse una trappola, ma dopo qualche settimana la libertà religiosa era ormai ottenuta. In poco tempo passai a dire Messa e amministrare i sacramenti in centodieci villaggi.

Nel marzo del ’91 a Scutari arrivò il delegato del Papa, mons. Claudio Celli che celebrò nella cattedrale utilizzata, durante la dittatura comunista, come palazzetto dello sport. Quando nell’ agosto ’91 andai a Roma, fu lo stesso mons.Celli a presentarmi al Papa e a concedermi di poter celebrare fino a cinque Messe al giorno per il bene del popolo.
Oggi sono parroco a Trush, seguo alcuni villaggi vicini e il sabato vado a dire Messa e confessare in un paesino di montagna vicino a Spaç, dove sono stato prigioniero. A Trush c’è la chiesa, ma come canonica ho preso in affitto una piccola casa dove vivo e mi faccio da mangiare da solo. Nella pastorale sono aiutato da suore italiane che hanno l’abitazione vicino alla chiesa. Chissà che, con l’aiuto anche degli albanesi che sono in Italia, non riusciamo a costruire qualche locale per i ragazzi e i giovani.

don Ernest Simoni