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Una Venezia rosso sangue

Il soprano Annamarie Kremer (Violanta) e il mezzosoprano Anna Maria Chiuri (la nutrice) - Ph Edoardo Piva

Al Regio di Torino è andata in scena in prima italiana Violanta opera del giovane musicista ebreo Korngold poi emigrato in America  

TORINO, 25 gennaio 2020 – Una scena interamente rossa, di raffinata eleganza, che rimanda agli inizi del ventesimo secolo, epoca della prima esecuzione di Violanta (1916, diretta da Bruno Walter), e non all’improbabile rinascimento, originaria cornice della vicenda. Fin dall’inizio lo spettacolo di Pier Luigi Pizzi orienta lo sguardo sulla musica e sul compositore, l’enfant prodige Erich Wolfgang Korngold (allora appena diciottenne), più che sul libretto di Hans Müller, pieno di incongruenze storiche: dall’anticipo di eventi che nel XV secolo erano ancora di là da venire alla confusione fra il carnevale veneziano e la festa del Redentore, che si svolge a luglio.

Nonostante la notorietà di cui ha goduto Die tote Stadt in Italia, Violanta non era mai stata proposta nel nostro paese. È andata così in scena per la prima volta al Teatro Regio di Torino, in un arco di recite che precedevano il Giorno della Memoria, dato che Korngold, di famiglia ebrea, fu costretto a trasferirsi negli Stati Uniti, dove divenne un apprezzatissimo autore di colonne sonore cinematografiche: un esilio sicuramente dorato, ma che lui non avrebbe certo scelto.

Il soprano Annemarie Kremer (Violanta) e il tenore Norman Reinhardt (Alfonso) – Ph Edoardo Piva

Pur basata su un soggetto un po’ pretestuoso, all’ascolto Violanta appare opera di notevole icasticità drammatica, soprattutto per la sua attinenza con la nascente psicanalisi (la protagonista, dopo aver convinto il marito a uccidere l’uomo che ritiene responsabile del suicidio della sorella, finisce per innamorarsene e s’immola al posto suo).

Lo spettacolo di Pizzi – autore come sempre di regia, scene e costumi – più che usare lo scandaglio dell’introspezione freudiana, si affida a suggestioni estetiche di matrice dannunziana e a un decadentismo estenuato, certamente vicino allo spirito dell’epoca: gli basta evocarlo attraverso fluttuanti vesti femminili, uniformi da ufficiali di marina, l’ondeggiare di una tenda. Inoltre Pizzi ha gioco facile nel delineare la sua Venezia: un gigantesco oblò sul fondale, da cui s’intravvede il passaggio di una gondola, è sufficiente a suggerire l’atmosfera di un carnevale livido e mortifero. Con il grande pregio di rendere chiaro l’ingranaggio drammaturgico anche a chi non conosce quest’opera.

Nel nutrito cast – nonostante una durata poco superiore all’ora – si affollano numerosi personaggi, tra cui a Torino spiccava nettamente il gruppo femminile. Con notevole sicurezza vocale, il soprano Anne Marie Kremer ha sostenuto il raffronto con un’orchestra molto spessa riuscendo a delineare il repentino viraggio degli aggrovigliati sentimenti della protagonista: Violanta, da risoluta vendicatrice della sorella, s’innamora dell’uomo che vuole uccidere, ma prima di morire, in uno stato di totale esaltazione, torna ad affermare la propria appartenenza al marito. Il mezzosoprano Anna Maria Chiuri è stata una nutrice espressiva e solida sul piano vocale; allo stesso modo si poteva apprezzare il soprano Soula Parassidis, nei panni della cameriera Bice. Sul versante maschile, l’unico ruolo baritonale era quello dell’algido marito, il vocalmente ben squadrato Michael Kupfer-Radecky. Oltre a lui solo tenori, a cominciare da Norman Reinhardt, l’ambiguo seduttore Alfonso, presentatosi in scena con un mantello che vuole citare il Casanova felliniano, per proseguire con Peter Sonn, il gaudente amico pittore, fino ai militari, tra cui va almeno menzionato Cristiano Olivieri: tutti efficaci attori in palcoscenico.

Pinchas Steinberg ha diretto l’impeccabile Orchestra del Regio valorizzando una musica molto accattivante, dove si avverte la lezione – immune da qualsiasi retaggio accademico – di tanta musica precedente (da Wagner filtrato attraverso Mahler all’operetta di Lehár ), in cui mancano le aggressive asprezze straussiane di Salome ed Elektra, in favore di sonorità più morbide e sensuali. Il direttore israeliano ha anche avuto cura di evidenziare le non comuni qualità musicali del giovanissimo compositore austriaco, già evidenti in questo lavoro, e – al tempo stesso – ne ha fatto intuire quelle caratteristiche future che gli permetteranno di diventare un grandissimo autore di musica da film.

Peccato soltanto che nella rappresentazione torinese questa breve opera sia stata proposta da sola, mentre all’estero d’abitudine la si abbina con Eine florentinische Tragödie di Zemlinsky. Che peraltro di Korngold fu uno dei maestri.

Giulia Vannoni