Quando il vescovo Biancheri indisse la prima assemblea ecclesiale riminese su La Chiesa e i problemi dell’uomo, non solo il Consiglio pastorale dette un contributo non indifferente all’organizzazione dell’evento, animando le giornate del Convegno che intendevano essere anche preparazione della prima assemblea della Chiesa italiana che si tenne a Roma nel 1976, voluta da Paolo VI, con al centro un tema di forte rilevanza, Evangelizzazione e promozione umana.
E la risposta della diocesi all’invito del vescovo fu decisamente incoraggiante: più di milleduecento persone presenti nella navata della Chiesa di Miramare, con quasi trenta relazioni presentate da singoli e da gruppi. Un dibattito serrato in cui emersero le tante tensioni che attraversavano la società civile e la Chiesa in quegli anni. Non dimentichiamoci che da qualche tempo le tensioni sociali e politiche per alcune frange di destra e di sinistra giovanili erano sfociate nella lotta armata e nel terrorismo. A cominciare dalla strage di piazza Fontana, rimasta impunita. Tre anni dopo l’assemblea di Miramare ci sarà l’uccisione e il rapimento di Aldo Moro che scosse in profondità la coscienza dei credenti e non. I cui effetti sulla storia del nostro paese sono tuttora verificabili. Due anni dopo fu la volta di Vittorio Bachelet, già presidente dell’Azione cattolica italiana, in quel momento vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura. Mentre sul piano ecclesiale si manifestava una forte contestazione interna su diversi e delicati aspetti di dottrina e di struttura. Decisiva perché l’incontro di Miramare, andasse oltre le tensioni e le divergenze, fu la presenza costante del vescovo Biancheri che garantì con la sua autorevolezza e con la sua attenzione ai volti di ciascuno, il mantenimento di un clima di dialogo e di ascolto fraterno: “Di fronte a chiunque parli, qualunque cosa dica, anche cose che talvolta mi fanno rimanere con il fiato sospeso, tanto poco mi sembrano complete e oggettive, io mi preoccupo di coglierne l’anima di verità. Quindi richiamo ad un atteggiamento di ascolto reciproco e di ricerca insieme della verità” disse in apertura il vescovo Biancheri e ribadì alla conclusione del Convegno, dove avevano fatto irruzione le questioni brucianti di quella stagione del nostro paese: il lavoro, la giusta retribuzione, la giustizia sociale e l’impegno politico dei cattolici. Temi ripresi nella Lettera pastorale per la quaresima del 1976 che portava lo stesso titolo del Convegno di Miramare.
Se volessimo cercare di capire che cosa accadde in quelle giornate, veramente inedite per la vita della Chiesa, potremmo sintetizzare così: si riuscì a comprendere che vi era una relazione indissolubile tra evangelizzazione e promozione umana, che queste due dimensioni costitutive della Chiesa locale esigevano ambiti di confronto tra i credenti, nonostante le difficoltà e le possibili derive e tutto questo sotto la guida del vescovo che elaborava, nell’ascolto e nella ricerca con tutti i fedeli, le piste di una rinnovata pastorale. Che i risultati siano stati fecondi, tant’è che quel modo di essere insieme è proseguito nel tempo sino ad oggi a livello nazionale e a livello diocesano, lo dimostra anche un particolare che voglio ricordare: in apertura della prima assemblea ecclesiale che si tenne a Roma (eravamo in 2400) sotto la presidenza del cardinal Poma, coadiuvato dal professor Giuseppe Lazzati e dal direttore di “Civiltà cattolica”, il gesuita padre Bartolomeo Sorge, il prof. Achille Ardigò, un sociologo allora notissimo dell’Università di Bologna, presentò una relazione che sintetizzava il cammino di preparazione compiuto dalle diverse diocesi e più volte vennero ricordati i contributi del Convegno di Miramare.
Miramare non fu soltanto un momento, impegnativo e fecondo, di confronto tra fratelli nella fede. Dette anche vita ad alcune importanti realtà: la commissione diocesana per la famiglia, la commissione Justitia et pax, il settimanale “il Ponte”. Rinasceva in tal modo, sotto la direzione di don Piergiorgio Terenzi, un periodico diocesano a distanza di cinquant’anni. Con l’avvento del fascismo si era interrotta infatti la pubblicazione de “l’Ausa”, il settimanale cattolico che aveva condotto impegnative battaglie culturali e politiche tra fine Ottocento ed il primo quarto del Novecento. “L’Ausa” era poi uscito saltuariamente nel secondo dopoguerra come espressione della Democrazia cristiana riminese.
Il nuovo titolo dato al periodico stava ad indicare la volontà di stabilire solidi legami tra Chiesa e società riminese in rapida trasformazione, secondo le indicazioni che erano venute dal Concilio e ribadite, a conclusione del Concilio stesso, da parte di Paolo VI, il papa che era riuscito a portare a termine felicemente i lavori della grande assemblea dei vescovi di tutto il mondo. Nell’omelia del 7 dicembre 1965 disse, tra l’altro, che “tutta la ricchezza dottrinale del Concilio era rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo… in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa in un certo modo si è dichiarata ancella dell’umanità…”