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Usura: patto col diavolo

Sono poche le denunce di usura in provincia di Rimini, e i motivi possono essere solo due: o il fenomeno non esiste, o non viene denunciato. Difficile da credere, la prima ipotesi, dato che le recenti inchieste giudiziarie hanno descritto una Riviera solcata da episodi di criminalità mafiosa che trae i suoi proventi illeciti da: traffico di droga, prostituzione, gioco d’azzardo, merce contraffatta e, appunto, usura. Denaro che viene poi ripulito nelle “lavatrici”, come gli hotel (i repentini campi di gestione ne sono un segnale) e i locali ricettivi. Il tutto grazie al contributo di colletti bianchi riminesi e sammarinesi – a dirlo sono le inchieste dei magistrati. Banche, commercialisti, avvocati sono pronti a denunciare i propri clienti?
Il secondo elemento che offre terreno fertile agli usurai è la crisi economica. Con il credit-crunch (il restringimento del credito) imprese e famiglie hanno sempre più sete di prestiti, e se la banca non glieli concede, il rischio di scendere a patti col diavolo può rappresentare un’ultima spiaggia per non affogare del tutto. Salvo finire poi schiacciati da tassi di interesse e metodi poco ortodossi.

“Le forme di tutela per le vittime dell’usura devono essere incrementate – denunciano dall’Osservatorio provinciale sulla criminalità organizzata – ma servono anche le denunce, perché senza, le Forze dell’Ordine non possono attivarsi”. Dai numeri dell’Osservatorio si evince che tra le prime cause di ricorso all’usura ci sono la gestione di impresa, di attività economica, commerciale o familiare. La Dia regionale ha registrato 9 casi di usura in tutta la regione nel primo semestre 2010, saliti a 21 nello stesso periodo dello scorso anno. La Prefettura di Rimini è venuta a conoscenza di 16 casi nel 2014 in provincia, mentre nel quinquennio precedente la media era di quattro all’anno. “Non dobbiamo fermarci al numero. – ha tenuto a dire il prefetto Claudio Palomba, prima di lasciare Rimini – Un tempo abbiamo semplificato il fenomeno mafioso a Rimini e oggi sappiamo che è realtà. Non facciamo lo stesso errore con l’usura”.

Sedici denunce sembrano poche (tra l’altro riguardano quasi tutte l’usura bancaria, un fenomeno del tutto diverso da quella comune), “ma non sono indicative dell’assenza del fenomeno. Dobbiamo piuttosto chiederci perché non venga denunciato. C’è ritrosia nel soggetto passivo o sono le istituzioni a fare poco? È compito degli ordini professionali e delle banche fare una riflessione, perché loro possono accompagnare la vittima alla denuncia e svolgere un ruolo essenziale nella lotta all’usura”. Il protocollo sottoscritto un anno fa a livello locale tra associazioni di categoria, Banca d’Italia e Abi ha individuato la figura del “facilitatore”, un referente che a Palomba piace chiamare l’“amico” a cui le vittime possono rivolgersi per denunciare la propria situazione.

Perché le denunce di usura sono rivolte soprattutto alle banche? A spiegarlo è Marcella Simeoni, rappresentante della Banca d’Italia – sede di Forlì. “Quando si stabilisce il tasso soglia che determina l’usura si fa la media dei tassi di interesse applicati alle banche, incrementandolo di una certa percentuale. Negli ultimi anni, però, alcuni tribunali hanno parlato di altri tassi soglia, creando confusione. Così, nel dubbio, in molti hanno fatto partire le denunce”. La Banca d’Italia ha però le mani legate. “Quando ci arrivano dei reclami sui tassi, non possiamo essere noi a stabilire se si tratti di usura. Quello che possiamo fare, quando ispezioniamo una banca, è segnalarla alle autorità giudiziarie se supponiamo che i tassi applicati siano sospetti”. Cosa devono fare gli istituti di credito? “Adempiere alla normativa anti riciclaggio per capire se l’attività del cliente è adeguata al suo profilo”.
“I problemi vanno guardati in faccia e non nascosti. – afferma Fabrizio Moretti, presidente della Camera di Commercio di Rimini – Dobbiamo confrontarci fra tutti gli attori del territorio e affrontare questo problema a partire dalle scuole. Noi lo facciamo attraverso il progetto «Città dei mestieri» dove gli imprenditori si raccontano agli studenti. Per superare l’illegalità bisogna parlarne”. La vera morsa per le imprese, anche a Rimini, è rappresentata dal ritardo nei pagamenti che le lascia senza liquidità. “In Italia l’obbligo di pagamento entro i 90 giorni è ormai una chimera. – ammette Moretti – È più facile che si superino i 300. (Nei paesi che io chiamo civili si paga a 15-30 giorni). Questa brutta abitudine droga l’economia, genera impoverimento, comporta la distruzione delle micro, piccole e medie imprese per l’incapacità della gestione finanziaria e permette l’infiltrazione in esse di associazioni malavitose. Servono una regolamentazione unica europea e il supporto dei sistemi bancari”. Il rovescio della medaglia è che “spesso l’erogazione del credito viene fatta a chi non ne avrebbe bisogno per mancanza di progetti sostenibili o di un’idea di futuro. Il denaro va dato a chi ha un’idea di business innovativa e sostenibile”.
La tasse devono essere più basse. Per Gianni Indino, presidente Confcommercio Rimini, questa è la soluzione numero uno per il contrasto all’usura. “Lo Stato sembra non sentirci. Appena si prova a tagliare una tassa, si pensa a come coprirla con un’altra. A tutti i commercianti dico: non ricorrete all’usura, perché avrete perso in partenza, e denunciate!”. Ora grazie alla Prefettura è sempre più facile farlo, “c’è chi vi aspetta a braccia aperte”.

Mirco Paganelli