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Uranio killer, a Rimini arriva il pool

Torniamo a parlare di Uranio impoverito, il metallo killer che, in Italia, continua ad uccidere un gran numero di militari rei di essere entrati in contatto con armi che lo contengono. “Sotto accusa” le missioni di pace internazionali nelle quali si utilizzano – in dotazione – armi con uranio impoverito, militarmente molto performanti ma dannose per la salute. Dopo tantissimi casi accertati, anche a Rimini è stato aperto un fascicolo. Militari che hanno preso parte alle missioni in Somalia, Kosovo, Jugoslavia e Afghanistan si sono fatti avanti perché hanno avuto il sospetto che le loro malattie (spesso tumorali) fossero associabili all’esposizione al metallo. Un dubbio sorto quando gli stessi hanno fatto il confronto con le dotazioni di sicurezza degli altri militari sul campo, specie gli americani, rispetto a quelle possedute da loro.
Il pensiero è stato dei più banali: “Come mai questi sono così coperti, con maschere e tessuti particolari?”. Loro non lo erano.
Detto, fatto. L’uranio è nocivo per la salute e si attacca anche ai tessuti. Tant’è che proprio sui tessuti degli indumenti dei militari si sta lavorando in questo momento a Rimini. Davide Ercolani, sostituto procuratore a Rimini, ha aperto un’inchiesta su questa storia raccogliendo le denunce di alcuni militari malati e dei familiari di alcuni defunti. In particolare dei familiari di Giovanni Mancuso, in missione a Nassirya e morto nel 2010 in seguito ad un tumore al cervello.
Attualmente presso la Procura della Repubblica di Rimini, è stato costituito una sorta di pool, che sta svolgendo indagini su questo fronte. Da una parte ci sono gli investigatori dei Carabinieri facenti parte della Sezione di Polizia Giudiziaria della Procura di Rimini e, dall’altra, dei consulenti incaricati di svolgere delle indagini. Le analisi degli indumenti del Brigadiere Giovanni Mancuso stanno partendo per l’Australia per essere esaminati con una strumentazione specifica.
Oltre che sulle cartelle cliniche, Ercolani può contare anche sugli atti della Commissione Parlamentare d’Inchiesta che approfondisce il legame tra l’esposizione e l’uso di armi ad uranio impoverito con il sopraggiungere e lo svilupparsi di alcune forme tumorali. Proprio nell’ambito della collaborazione istituzionale il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha trasmesso immediatamente all’Autorità Giudiziaria riminese tutte le relazioni e i materiali raccolti dalla Commissione parlamentare istituita per valutare i rischi derivanti dall’esposizione all’uranio impoverito.
Capo d’accusa: omicidio colposo, previsto dall’art. 589 del codice penale comune e omessa esecuzione di un incarico, riconducibile all’articolo 117 del codice penale militare di pace. Ma siamo sicuri che sia solo uranio impoverito? La Commissione d’Inchiesta Parlamentare tira fuori anche la possibilità del coinvolgimento, nell’ammalarsi dei militari, della somministrazione del mix dei vaccini inoculato ai militari senza che vengano informati del contenuto delle fiale e senza che si facciano esami e anamnesi preliminari, caso per caso. Ma sui vaccini a Rimini ci vanno cauti, si stanno facendo valutazioni mediche ma pare che esperti parlino di concause piuttosto che di cause uniche.
Ma torniamo all’uranio. Attualmente Ercolani si sta muovendo in due direzioni. Il primo passo consiste nell’accertare con sicurezza il nesso casuale tra esposizione all’uranio impoverito e le patologie ad esso collegate. Nella fase successiva, individuato il nesso casuale, si deve risalire ai soggetti che in quel momento, in virtù delle loro posizioni di comando, avevano assunto una posizione di tutela, garanzia e controllo nei confronti dei militari sottoposti, ovvero coloro che proprio per la loro posizione di vertice erano venuti a conoscenza dei danni provocati dalle munizioni caricate con uranio impoverito. Solo così si potrà risalire ai responsabili di questo caso e ragionare sul perché ciò sia avvenuto: semplice negligenza e sottovalutazione del pericolo oppure omissione? È possibile che, pur essendo presenti degli studi medici e militari, provenienti anche da fonti altamente qualificate (Nato, USA), i comandanti che facevano capo ai diversi corpi non abbiamo voluto dare comunicazione dei rischi collegati all’esposizione all’uranio?
Queste sono solo supposizioni, saranno le inchieste a cercare la verità.
Per adesso a Rimini sono arrivate 10 segnalazioni e altre sono arrivate da diverse parti d’Italia. L’indagine sta procedendo con lena e molti militari e familiari di defunti si sono fatti avanti per essere inseriti nella indagine riminese. Addirittura, nel periodo di luglio e agosto arrivavano continuamente telefonate di persone che segnalavano gravissimi problemi di salute dopo essere stati in missione all’estero. Vista la grande mole di telefonate arrivate, a Rimini si è deciso di fare una cernita e di limitare il numero dei casi accettati dall’esterno, anche perché in Italia ci sono anche altre procure che si stanno muovendo in questa direzione, vedi Padova con la quale Rimini sta collaborando da tempo.

Angela De Rubeis