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Un’orchestra che sorprende

L'Orchestra Leonore e il direttore Daniele Giorgi - Ph Camilla Pietrarelli

A Pistoia concerto dell’Orchestra Leonore con la direzione di Daniele Giorgi e Arsenii Moon solista al pianoforte 

PISTOIA, 6 febbraio 2025 – Il confronto ravvicinato tra la Sinfonia “Primavera” di Schumann e il Primo concerto per pianoforte di Chopin offre un’ideale esemplificazione dei differenti approcci che, all’epoca, potevano avere i compositori verso la scrittura orchestrale. Il fatto, poi, che si tratti di due brani nati a distanza di soli undici anni rende il raffronto ancor più stimolante.
Da un lato un autore che ha composto tante pagine per pianoforte, tentando lui stesso – senza troppa fortuna in verità – la strada della tastiera; dall’altro un musicista come Chopin, che si avvicina all’orchestra con un approccio, essenzialmente, da pianista-compositore. Ma, al di là dei parallelismi, a collegare i due autori c’è pure un filo ideale: se sulla strumentazione del Concerto di Chopin musicisti e autorevoli critici hanno espresso tendenzialmente giudizi severi, Schumann invece è sempre stato fra i pochi ad esserne un autentico estimatore.

Il pianista Arsenii Moon – Ph Camilla Pietrarelli

L’idea di accostare i due brani nell’arco di un’unica serata, come ha fatto l’Orchestra Leonore, ha dunque offerto una preziosa occasione per approfondire relazioni non scontate. Ad aprire la serata al Teatro Manzoni di Pistoia il Primo concerto per pianoforte e orchestra, con la partecipazione solistica del venticinquenne Arsenii Moon: nato a San Pietroburgo e che vanta un lungo elenco di vittorie nei più importanti concorsi internazionali. Moon è apparso un poeta della tastiera, come ha confermato anche dai due bis: Feux d’artifice di Debussy e l’incantevole Siciliana di Bach-Vivaldi, proposta nella rielaborazione di Arcadi Volodos. Il suo approccio con la pagina composta nel 1830 da Chopin non si limita al superamento di ogni difficoltà tecnica, ma ne restituisce la mirabile scorrevolezza: basterebbe pensare al lungo ‘allegro maestoso’ iniziale, dove il virtuosismo si stempera in una sommessa cantabilità – la stessa che ritorna nel secondo movimento – fino a culminare nel ‘rondò’ conclusivo, dove affiorano con la massima naturalezza echi popolari di danza.
L’aspetto più interessante, però, è che la lettura di Moon trova un’efficace consonanza nella visione del direttore Daniele Giorgi. Benché assolutamente rispettosi del solista, gli interventi strumentali infatti non sono mai concepiti come un mero sostegno del pianoforte, né si limitano alle sole sottolineature espressive (quei limiti, insomma, che vengono rimproverati alla partitura di Chopin), ma riescono a far emergere dalle pieghe della scrittura orchestrale sollecitazioni destinate, spesso, a rimanere inespresse. In questo modo l’esecuzione valorizza la contiguità tra Chopin e il suo coetaneo Schumann, esaltando – oltre tutto – la freschezza che caratterizza l’inventiva musicale legata alla giovane età di entrambi.

Nella Sinfonia n.1 in si bemolle maggiore “Primavera” il direttore ha puntato sull’inesauribile invenzione tematica che caratterizza il primo grande lavoro sinfonico di Schumann e, fin dall’introduzione (una fanfara affidata ai corni e alle trombe, che richiama il risveglio primaverile della natura), ha guidato l’ascoltatore nell’affascinante intreccio di temi che si rincorrono continuamente, e si riverberano anche nell’andamento circolare della partitura. Attraverso un’accurata gestione degli equilibri sonori – straordinario lo ‘scherzo’ – Giorgi, che non utilizza la bacchetta, ha poi valorizzato l’inesauribile vivacità del ritmo e la brillantezza dei colori, gestendo sempre con efficacia le dinamiche. L’Orchestra Leonore ha assecondato benissimo questo disegno, trovandosi perfettamente a suo agio con la luminosità e l’impeto giovanile di Schumann: d’altronde si tratta di un insieme formato da eccellenti musicisti (italiani e non solo), perlopiù molto giovani e quasi sempre prime parti di blasonate compagini strumentali, che si ritrovano periodicamente per suonare insieme. Qualità che non garantirebbero a priori un complesso ben amalgamato se non scattasse – fra i componenti e con il direttore – quell’intesa che si rinnova invece ogni volta. È un merito di Giorgi, certo, ma risponde anche al bisogno di sfuggire a una prassi ormai standardizzata, che l’attuale sistema di funzionamento delle orchestre impone, anche ai massimi livelli. E, sulla distanza, fa correre il rischio di trasformare il piacere di suonare insieme di tanti strumentisti in routine. Sia pure eccellente.

Giulia  Vannoni