Università nel ciclone

    L’Università è nell’occhio del ciclone, in questo periodo, a causa della L. 133 approvata dal Parlamento. Recentemente poi, il 9 gennaio, nonostante le numerose proteste, è stata approvata la legge 1/09 già DL 180. Per sentire le diverse voci, oggi intervistiamo il Ricercatore riminese presso l’Università Politecnica delle Marche (Ancona) Daniele Rinaldi, associato all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e membro di Cristal Clear Collaboration, un organismo internazionale che studia i cristalli scintillatori ad uso della diagnostica biomedica e per la fisica delle alte energie. In questo ambito ha studiato i cristalli scintillatori per gli esperimenti del CERN di Ginevra.

    La legge 1/09 approvata il 9 gennaio, più nota come “Legge Gelmini” ha stanziato nuovi fondi per l’edilizia studentesca, le borse di studio e l’Università. Impone che almeno il 60 % dei nuovi assunti, al posto del personale che va in pensione, siano Ricercatori. Perché allora continua la protesta nelle Università? Non è una vittoria per il movimento sorto all’interno delle Università?
    A parte il discorso per l’edilizia e le borse di studio, la legge 1/09 va letta assieme alla Legge 133/08. Il taglio delle assunzioni nel quadriennio 2009-2012 sarà pari al 50% dei pensionamenti. Per quanto riguarda i fondi per il funzionamento dell’ Università, la 133 taglia quasi 1500 milioni di euro, la L. 1/09 ne riassegna 500 ravanando un po’ di risorse. Quindi il bilancio complessivo fa registrare un taglio di quasi 1000 milioni di euro. La politica è una politica di tagli. Difficile essere soddisfatti in questa situazione. Dovrei poi fare una forte critica a tutto il sistema dell’informazione…

    Perché?
    Intanto c’è stata molta approssimazione e imprecisione nella comprensione delle leggi da parte della stampa. Ma dov’è la forza e la capacità critica del giornalismo? O si passano le veline del governo? La sera dell’approvazione della 1/09 un telegiornale cantava trionfante “4000 nuovi Ricercatori” mentre in un altro il Ministro Gelmini (in Italiano si dice Ministro, non Ministra!) a sua volta cantava trionfante “3000 nuovi Ricercatori”. Intanto non si capisce né da dove vengano queste cifre né in quanti anni. La cosa irritante e fuorviante è che detta così sembra che questi Ricercatori siano in più rispetto a quelli attuali. Per non essere ingannevoli sarebbe stato meglio dire quanti ce ne saranno in meno a causa dei tagli finanziari e del parziale blocco del turn-over.

    Entriamo allora nel vivo dei fatti. Fonti governative affermano che in Italia ci sono 5000 Corsi di Laurea, alcuni insostenibili dal punto di vista scientifico, altri con uno studente. Non è giusto razionalizzare le risorse eliminando i Corsi inutili?
    Giustissimo. Ma per assurdo è proprio la mancanza di fondi a spingere, sbagliando, Rettori e Presidi a moltiplicare la cosiddetta “offerta formativa” nel tentativo di raggranellare qualche studente in più, che significa qualche soldo in più dalle tasse che gli studenti stessi pagano. Tagliando i fondi si mette in crisi la ricerca e la didattica, non si eliminano i corsi inutili…

    Allora esiste un’altra via per eliminare queste anomalie o per paura di tagliare la ricerca saremo condannati ad accettare anche i corsi inutili?
    La risposta deve essere mirata. Il Ministro Mussi, del vecchio Governo Prodi, per risolvere la questione della assurda proliferazione dei Corsi di Laurea aveva innalzato i cosiddetti criteri minimi. In pratica, per dirla in parole povere, semplificando un po’ la questione, l’apertura di un Corso richiede la presenza in organico di almeno il 50 % dei docenti e ricercatori già in forza, aumentando i criteri precedenti. In questo modo salteranno moltissimi corsi di laurea in tutta Italia, costringendo a fare delle scelte senz’altro più consapevoli. Senza tagliare un euro!

    In questa situazione non è giusto premiare gli Atenei più meritevoli?
    La 1/09 vuole premiare gli Atenei che fanno ricerca e didattica in modo migliore, assegnando ad essi una fetta in più dei pochi fondi. Il principio è giusto ma bisogna vedere quali saranno i criteri. Ritengo che l’offerta didattica o l’efficienza dei processi formativi siano difficili da giudicare in modo obiettivo. I criteri restano oscuri perché onestamente faccio fatica a capire cosa sia “la qualità dell’offerta formativa e i risultati dei processi formativi”. Se si fa semplicemente la conta dei promossi allora addio alla tanto sbandierata meritocrazia.

    Non pensa che sia stato un danno anche per gli studenti questa situazione?
    Sicuramente ha aumentato la confusione e non la possibilità di occupazione. Però vorrei chiarire cosa si intende per “corsi inutili con pochi studenti”. Di fatto le facoltà scientifiche vedono un costante calo delle iscrizioni, tant’è che in alcuni Atenei si fanno sconti sulle tasse agli studenti per l’iscrizione alle facoltà scientifiche. Quindi parlare di corsi inutili e associarli acriticamente ai corsi con pochi iscritti è rischioso e fuorviante perché non sono sicuramente inutili i corsi di Laurea in Fisica o Matematica che hanno pochissimi iscritti. Mi vengono in mente anche dei corsi di Laurea che pare abbiano molto successo dal punto di vista delle immatricolazioni ma poco senso dal punto di vista scientifico, culturale e delle applicazioni pratiche. Insomma il criterio non può essere il mercato della matricola, perché, come ho mostrato, allora anche Fisica e Matematica sarebbero corsi inutili. Su una cosa sono d’accordo: le sedi staccate hanno un livello molto basso sia dal punto di vista culturale che della ricerca.

    Insomma, secondo lei la L. 133/08 e la L. 1/09 fanno ben altro da quello che promettono i politici…
    Secondo me sì

    E cosa succede allora?
    Una cosa molto semplice, si tagliano soldi per la ricerca e il funzionamento corretto dell’istituzione. Guardi, non voglio tediarla con cifre che ormai tutti riportano, siamo sotto la media Europea in tutte le voci. Mi domando se sarò in grado di fare correttamente il mio lavoro -nel quale credo- nei prossimi anni, se potremo continuare a tenere aperti i nostri laboratori o dovremo chiuderli.

    Mi scusi ma non è anche colpa di chi ha fatto una politica clientelare e non di meritocrazia?
    Si vada a cercare le colpe dove ci sono. Si parla molto di “baroni”, questi sono supportati da gruppi di potere o politici, non si incide su questo problema in questo modo, tagliando su fondi e personale. La soluzione non è chiudere i laboratori. Vede, ci rendiamo conto che non abbiamo più giovani da mettere nei laboratori…

    La solita fuga di cervelli?
    Direi di sì. Di giovani bravi ce ne sono tantissimi. Noi impieghiamo risorse per farli crescere poi, quando sarebbero maturi per occupare laboratori e ruoli accademici, o fanno i precari o se ne vanno, o tutte e due le cose. E’ una situazione molto triste. Questo sì che è uno spreco di risorse, prepariamo ricercatori che poi se ne vanno! Non abbiamo risorse e queste Leggi dicono a chiare lettere che le possibilità di assunzione di giovani al posto di quelli che vanno in pensione sono estremamente ridotte. Tenga poi conto che si potranno assumere anche Ricercatori a tempo determinato; una soluzione conveniente per le Amministrazioni ma che aumenta il precariato. E la ricerca non è solo una questione di bilancio…

    D. Cosa significa ?

    La ricerca richiede continuità, mi viene in mente chi studia vaccini, ci vogliono anni e anni e continuità di lavoro col personale che cresce accumulando esperienza. E’ necessario uno scambio continuo tra l’esperienza degli anziani e la crescita dei giovani.

    D. Comunque uno Stato deve fare delle scelte e decidere di destinare una quota ad ogni attività strategica. In un’epoca di crisi forse le priorità sono altre.

    R. Lei ha completamente ragione, è una questione di scelte e di priorità. Evidentemente in Italia non si considera strategico il settore dell’Università e della ricerca. E’ uno sbaglio, e non vorrei al solito fare confronti impietosi con i Paesi occidentali di cui ho le cifre. E non sono sicuro che molti Paesi in via di sviluppo facciano peggio di noi. Penso anche ai grandi sforzi di Cina e India.
    Non voglio tediare con dati che tutti possono trovare, ma siamo ben sotto la media dei paesi avanzati (OCSE) per spesa per studente e per la ricerca. E’ una scelta strategica, certo, perché per chi ci governa l’Università e la ricerca sono una spesa e non una risorsa, non sono un investimento per il futuro.

    In che senso sono un investimento?
    E’ molto semplice, se non c’è ricerca non c’è sviluppo economico perché non c’è innovazione. E badi bene che ci sono dei settori dove il privato difficilmente può fare ricerca perché è fuori dalla sua portata oppure perché richiede un investimento a lunghissimo termine, come la ricerca di base. Tutto questo è un errore enorme per il nostro sviluppo economico. Inoltre, ci sono altri settori che non hanno una ricaduta industriale ma sono comunque fondamentali per uno sviluppo civile, mi riferisco, per esempio, alle lettere, la storiografia, le scienze sociali. Siamo poi convinti che siano cose così inutili perché non sono monetizzabili? Distruggere la cultura significa distruggere una civiltà.

    Dunque voi contestate fortemente il forte taglio delle assunzioni che riduce progressivamente il numero dei docenti effettivi. D’altra parte, analizzando la situazione, non le sembra che effettivamente ci siano troppi docenti magari per cattedre inutili?
    Questo non è esatto, perché il rapporto studenti docenti è anche qui superiore alla media OCSE; semmai potremmo discutere di una distribuzione non omogenea con settori sovra e sotto dimensionati e questo sarebbe giusto. La legge in realtà non fa troppe distinzioni. Si andrà verso una forte riduzione del personale docente nel medio termine. Bisogna fare una precisazione: gli Atenei che potranno assumere saranno quelli che non sforano il tetto del 90 % del loro budget in stipendi. Coi tagli proposti può succedere che anche chi era sotto questo tetto di spesa possa ora sforare e quindi non fare più assunzioni!

    Quali saranno le conseguenze?
    Io credo che ci saranno due tipi di conseguenze: la prima sulla didattica-ricerca, la seconda di carattere prettamente culturale.
    Per quanto riguarda la prima è tutto molto semplice, si dovrà dedicare molto più tempo alla didattica – con conseguente riduzione di qualità- e verrà sacrificato se non praticamente eliminato il tempo dedicato alla ricerca.

    Mi scusi ma non è giusto dedicare più tempo alla didattica?
    Bisogna capire di cosa si sta parlando, l’Università è e deve essere basata sulla ricerca, se non c’è ricerca non ha senso neanche la didattica a livello universitario. In pratica ci trasformiamo in Licei. Le ricordo che prepariamo, come apice della didattica, gli studenti di Dottorato. Questo non è possibile se non c’è ricerca e non ci sono laboratori. Ma neppure gli altri corsi hanno senso se alle spalle non c’è ricerca. Per questo ci sono già i Licei, gli Istituti tecnici ecc. Noi dobbiamo preparare gli studenti alle sfide più alte. Per sostituire una pompa in una fabbrica non serve un ingegnere meccanico, questo deve saper progettare e perciò deve essere a contatto con chi è dentro alle problematiche più complesse.

    E la seconda conseguenza?
    Direi che la seconda conseguenza alla fine è più grave della prima perché decapitando la classe docente si crea un gap di conoscenza che potrebbe essere incolmabile. La conoscenza non si trasmette solo coi libri, questi sono indubbiamente fondamentali, ma soprattutto col contatto tra studiosi. Le faccio un esempio, chi fa le tesi di ricerca o chi fa il Dottorato sta a contatto continuamente con noi nei laboratori. Gli studenti acquisiscono una conoscenza non solo libresca – fondamentale ripeto – ma anche di esperienza. In pratica vengono “a bottega”. Rischiamo di perdere un patrimonio culturale enorme!

    Un altro punto fondante della L. 133 è la possibile trasformazione delle Università in Fondazioni, che significa in pratica la privatizzazione delle Università. Non è giusto e soprattutto anche conveniente che il capitale privato entri nell’università? Non migliorerebbe l’efficienza costando sempre meno ai contribuenti?
    Prima di parlare di questo bisogna affrontare una questione di metodo non indifferente, è il Senato Accademico che può decidere la trasformazione degli Atenei in Fondazioni e poi il Ministro approva la delibera. La cosa è fuori da ogni logica giuridica perché il Senato Accademico non è il legale proprietario degli Atenei , per cui non può “vendere “ una cosa non sua. Assolutamente illegittimo. Tenga poi conto che il Senato Accademico è un Organo interno e non è eletto dai cittadini. Insomma sarebbe come se dei monaci vendessero il monastero nel quale vivono, giuridicamente impossibile.
    E poi non si capisce come avvenga questo passaggio, la legge è per ora tanto generica quanto inquietante. Lei immagina tra beni immobili, apparecchiature scientifiche, capitale umano quanto può valere un’Università? Ora bisogna chiarire se, come e quanto verranno pagati questi beni, le Fondazioni inoltre subentreranno in tutti i rapporti attivi e passivi. La cosa resta ancora drammaticamente generica ma non vedo possibile una soluzione di stampo ‘Università americana’, perché non abbiamo né la cultura né i mezzi.

    E va bene, supponiamo che questi problemi che lei dice siano risolti, resta comunque la questione se non sia un vantaggio in termini di efficienza e di costi.
    Il problema è quali saranno le finalità culturali delle fondazioni, che immagino comunque legate al mondo dell’industria e dalla finanza. La scuola, la ricerca, la cultura devono essere finalizzate alla crescita del bene collettivo. Su una cosa sono d’accordo con lei: l’Università non può essere un’isola d’oro staccata dalla società civile e dall’economia. Infatti cerchiamo assiduamente contatti con l’industria che già finanzia in parte la ricerca. Ma questa deve rimanere libera perché ci sono dei settori ai quali oggi l’industria può non essere interessata ma che sono fondamentali per la crescita di un paese. Mi riferisco alla ricerca di base, che non dà un’immediata ricaduta produttiva. Ma che è fondamentale se si vuole pensare al futuro. Insomma bisogna essere inseriti nella società, mantenendo la libertà di ricerca. E questo lo può fare solo un’istituzione pubblica. Mi viene da pensare all’algebra di Boole e allo studio della fisica di base che ha portato allo sviluppo dei semiconduttori. Chi poteva immaginare allora l’importanza di queste ricerche? Senza questi studi non ci sarebbero i calcolatori né le moderne comunicazioni. E l’elenco potrebbe essere molto lungo. Attualmente studiamo i superconduttori, i nostri dottorandi fanno tesi sull’erosione marina, ecc. Ci sono questioni fondamentali sulle quali non possiamo aspettare un supporto dall’industria privata. E poi che fine farebbero le facoltà umanistiche?

    C’è una questione molto pressante, quella dei Baroni che gestiscono l’Università e i concorsi a loro piacimento. Uno degli scopi dichiarati dal Ministro è quello di porre rimedio a questa piaga. Non è forse giusto?
    Il problema è che né la L 133/08 né la L 1/09 fanno questo. Non è riducendo gli spazi per i giovani ricercatori che si eliminano i baroni, non è riducendo i fondi che si eliminano i baroni. Anzi, riducendosi le risorse, è facile che queste vadano in mano proprio a coloro che sanno gestire meglio il potere. La L 1/09 poi mette i concorsi praticamente completamente in mano ai Docenti Ordinari (quelli di livello più alto per intenderci, tra i quali si trovano quelli che vengono definiti “baroni”). Non è allargando la base dei possibili commissari dei concorsi che si risolve il problema. Il concorso per Ricercatore sarà poi basato sulle pubblicazioni e su un colloquio, bisogna vedere cosa significherà in concreto.

    Allora quale può essere la soluzione?
    Onestamente su questo punto è difficile individuare una soluzione. Qualsiasi modello è sbagliato perché è la nostra cultura che è sbagliata su queste cose. Vede, con la selezione nazionale prevalgono i grandi gruppi di potere che impongono i loro uomini in tutt’Italia, con le selezioni locali prevalgono i gruppi locali. Non se ne esce, bisogna modificare la nostra cultura. Ripeto è una questione di cultura, ogni legge può essere raggirata.

    Una soluzione potrebbe essere l’anagrafe dei Docenti e delle pubblicazioni proposta dalla L 1/09 premiando chi fa pubblicazioni scientifiche?
    Certamente è giusto valutare l’attività di Docenti e Ricarcatori mediante le pubblicazioni, premiando chi effettivamente lavora. Vorrei far notare che per fare ricerca bisogna averne gli strumenti. Insomma la ricerca costa e prima di valutarla bisogna dare gli strumenti per farla. Sono necessari laboratori e personale. Difficile pensare di fare tutto questo se invece si propongono solo tagli.

    Un’ultima questione importante. Il corpo accademico, compresi i Rettori e i Presidi, sono accusati di strumentalizzare gli studenti.
    E’ un’accusa vergognosa ed infamante. Intanto non va nel merito politico della questione. Osserviamo come si sono svolti i fatti: la protesta nasce tra docenti che si sono scambiati informazione e si sono organizzati autonomamente e attorno alle loro organizzazioni. Gli studenti si sono aggregati in modo autonomo e assolutamente spontaneo. Per noi è stato un fatto inaspettato e sorprendente. Mi piace fare degli esempi. Abbiamo organizzato un’assemblea di tutto il personale (tecnico e docente) in aula magna. Gli studenti ci hanno chiesto di partecipare. Bene, erano talmente tanti che siamo dovuti uscire fuori sul piazzale. E poi i politici che dicono che gli studenti sono strumentalizzati li offendono nella loro capacità di ragionamento e di scelta.

    a cura di Angela De Rubeis