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Una Rivista accompagna il cammino

Uno strumento essenziale per comprendere la stagione dell’applicazione del Concilio a Rimini fu la pubblicazione della “Rivista diocesana”, o meglio, la trasformazione del “Bollettino diocesano” in “Rivista diocesana”.
Essa fu un fondamentale veicolo per la recezione del Concilio.
Restava pubblicazione ufficiale per gli atti del vescovo e della curia, ma ampliava i suoi compiti con questo tipo di motivazione: “In questo periodo postconciliare bisogna che la sua funzione sia duplice,vale a dire approfondire le grandi linee del Concilio Vaticano II, concretizzandolo nella vita e nella pastorale diocesana,” e svolgere una funzione positiva di chiarificazione di idee in un momento così difficile e per molti aspetti pieno di incertezze. Riusciremo nell’intento?” .
L’interrogativo finale non suoni retorico. Vi era piena consapevolezza della difficoltà dell’impresa. D’altra parte la storia delle receptiones dei precedenti concili, ammoniva sulle difficoltà che si sarebbero incontrate. Devo ricordare che la rivista nel decennio di pubblicazione, ebbe come direttori: don Fausto Lanfranchi, allora vicario generale della diocesi; successivamente don Aldo Amati, allora rettore del Seminario e infine don Piergiorgio Terenzi e che l’ultimo numero (è del settembre 1976) porta anche la lettera di commiato di mons. Biancheri, dopo 27 anni di episcopato.”Per tutto quello che si è potuto attuare in ogni settore della Chiesa riminese con la collaborazione del clero e del laicato voglio dire anch’io, come san Paolo,“non io ma la grazia di Dio in me”.

Perché la rivista è stata uno strumento essenziale? Essa coinvolse nella scrittura decine di persone, soprattutto laici , dal momento che si trattava di registrare i fatti significativi della Diocesi, dall’Istituzione del Consiglio presbiterale e del Consiglio pastorale diocesano, alla sintesi dei dibattiti che vi si svolgevano con notevole vivacità e parresìa, alla vita dell’Azione cattolica e dei movimenti ecclesiali, dei vari ordini religiosi. Ma accanto all’attualità si aprivano rubriche di approfondimento: la sezione teologico- pastorale, quelle dedicate alla storia della Chiesa riminese, alla documentazione e alle recensioni dei volumi. Lo sforzo di dar voce a tutte le componenti ecclesiali si accompagnava alla volontà di riportare le differenze ad una sostanziale unità, nel segno di un’ecclesiologia di comunione che era la grande indicazione del Concilio Vaticano II. Gli ultimi numeri della rivista sono stati di supporto alla preparazione e alla realizzazione della prima assemblea ecclesiale, quella che si tenne a Miramare nel novembre del 1975. Ma di questa si tratterà più tardi.

L’Istituzione del Consiglio presbiterale
e del Consiglio pastorale. Tra le prime iniziative concrete del dopoconcilio è da annoverare la costituzione del Consiglio presbiterale (nell’ottobre 1966) e del Consiglio pastorale (nel dicembre del 1967), tra i primissimi in Italia. almeno secondo i dati riportati da un volume a cura di Tessarolo, direttore allora delle Edizioni Dehoniane. Oggi la loro esistenza ed il loro operare sono ovvi e scontati, ma allora apparvero come una sconvolgente novità (per questo anche osteggiati). Si trattava di mettere in piedi delle strutture di corresponsabilità ecclesiale. di cui si riconosceva la legittimità e l’utilità.
Il Consiglio presbiterale che proponeva, attraverso una complessa articolazione di ambiti, di “attuare gli statuti conciliari nella Chiesa diocesana”. Il Consiglio pastorale era stato raccomandato dal Concilio stesso (dalla Christus dominus 27 e dalla Ad Gentes, 30). Sarà poi giuridicamente definito dal Codice di diritto canonico (ai canoni 511-514) che indicava il loro fondamento nell’immagine della Chiesa scaturita dal Concilio. La Chiesa come mistero, ma anche come comunione e come missione. Comunione nella fede e nella carità per cui la dimensione comunitaria le è essenziale, è la sua figura sociologica adeguata che si esprime nella fraternità. La comunione ecclesiale comporta vera eguaglianza di tutti i membri senza alcuna confusione di ruoli.

Le difficoltà incontrate per impiantare il Consiglio pastorale diocesano erano legate a problemi relativi alla definizione delle sue finalità, dei contenuti, dei metodi e delle strutture. Se andiamo a rileggere i verbali del primo Consiglio pastorale – al quale presi parte sia nel momento progettuale, sia nel momento esecutivo (ne era segretario don Luigi Tiberti) possiamo constatare come la tensione ad una pastorale diocesana unitaria trovasse resistenze da parte di chi, fortemente influenzato dalla cultura del tempo, metteva in discussione il principio di rappresentanza a favore di quello assembleare o al più dello scambio di esperienze. Il Consiglio pastorale si doveva trasformare in ambito di confronto permanente. L’ipotesi si affermò al momento di costituire il secondo Consiglio pastorale, ma fu messa da parte successivamente, perché non realizzava le finalità per cui il Consiglio stesso era stato pensato. Dopo una riunione aperta a tutti, al documento finale del primo Consiglio pastorale fu dato un titolo meno impegnativo e cioè Indicazioni per la pastorale della Chiesa riminese, affidandone poi l’applicazione alla responsabilità delle parrocchie e dei gruppi.

Non ho intenzione qui di ripercorrere la storia di tutti i consigli pastorali che si sono succeduti sino all’Assemblea diocesana di Miramare del 1975. Ci saranno, spero, giovani storici che ripercorreranno questi anni cruciali per la storia della nostra Chiesa. Attraverso progressivi assestamenti il Consiglio pastorale diocesano ha assunto sempre più la forma di struttura di corresponsabilità ecclesiale consigliando il Vescovo per la migliore attuazione della cura pastorale delle comunità cristiane. La forma del “consigliare” ha assunto sempre più, nella Chiesa, il carattere specifico del discernimento comunitario che ha come valore e riferimento fondamentale la comunione ecclesiale. Va aggiunto che nel confronto all’interno del Consiglio, si attuò nei suoi membri una rapida alfabetizzazione delle tematiche conciliari, costretti com’erano a motivare le scelte sulla base dei documenti del Concilio ritenuti fondativi: le costituzioni dogmatiche Dei verbum, Lumen gentium, Gaudium et Spes, e il decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem.

Inoltre, attraverso l’esperienza condotta nei Consigli pastorali diocesani, molti si mossero perché anche le parrocchie si dotassero di un organismo analogo. Non è casuale che nella nostra diocesi la riforma liturgica, la catechesi, la lettura biblica, il servizio al mondo abbiano presto preso piede e si siano radicati nella coscienza ecclesiale di molti fedeli, dando successivamente origine a molte iniziative diocesane di largo respiro. Il vescovo Biancheri tenne molto in conto il Consiglio pastorale diocesano chiedendo contributi nella stesura delle lettere pastorali di quegli anni. Alcune di esse di grande impatto sulla società riminese e non solo. Come non ricordare, per fare un solo esempio, il documento dedicato a La Chiesa riminese davanti al mondo del lavoro (è del 1972), discusso e ripreso dai quotidiani nazionali che non sempre colsero il senso evangelico che sosteneva le analisi e le proposte? (2-continua)

Piergiorgio Grassi