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Una piacevole scoperta

In primo piano Michele Patti (Mr Slender), Gilda Fiume (Mrs Ford) e Laura Verrecchia (Mrs Slender) - Ennevi Foto

Con il raro Falstaff di Antonio Salieri si è inaugurata la stagione lirica del Teatro Filarmonico di Verona 

VERONA, 19 gennaio 2025 – Il Falstaff di Verdi ha fatto scendere l’oblio sulle non poche opere ispirate allo stesso soggetto. Merito dei magnifici versi di Boito, che – fondendo due commedie shakespeariane – tratteggia personaggi memorabili e, ancor più, di una musica capace di renderli grandiosi, scolpendo uno strepitoso protagonista. Certo: qualsiasi confronto con un simile capolavoro potrebbe apparire perdente; eppure anche Falstaff ossia le tre burle,  composta per Vienna nel 1799 da Antonio Salieri, riserva piacevolissime sorprese.

Giulio Mastrototaro (Falstaff) – Ennevi Foto

Questa ‘opera comica in due atti’, oggi di rappresentazione assai rara, ha inaugurato la stagione del Teatro Filarmonico di Verona: uno spettacolo che non si è limitato solo a colmare una lacuna, ma ha messo in luce i numerosi pregi della partitura. Anche nel Falstaff di Salieri ci si rende subito conto come molti meriti, in realtà, siano da attribuire al libretto. La versificazione di Carlo Prospero Defranceschi – che si attiene al canovaccio shakespeariano delle Allegre comari di Windsor, snellendo un po’ la vicenda ed eliminando qualche personaggio – è insieme elegante e leggera, divertente eppure mai convenzionale; e, soprattutto, sorretta da una notevole scorrevolezza teatrale. Al centro, più che il protagonista, le tre burle cui viene sottoposto: la cesta del bucato che si conclude con il tuffo nell’acqua del Tamigi; la bastonatura (assente in Verdi), quando Falstaff per fuggire veste i panni di una vecchia detestata dal padrone di casa; infine, la spettrale aggressione notturna durante il convegno amoroso alla quercia di Herne. E Salieri, i cui lavori rappresentavano uno dei vertici più alti di quell’opera italiana che trionfava nei teatri viennesi (dove a contendergli il palcoscenico, niente meno, c’era Mozart), restituisce tutto questo attraverso una drammaturgia musicale pressoché infallibile, con momenti davvero ispirati sul fronte strumentale non meno che su quello vocale.

Paolo Valerio, che firma regia e costumi dello spettacolo (scene e proiezioni, chiamate a sostituire le tradizionali quinte mobili, sono invece di Ezio Antonelli), si preoccupa di valorizzare al meglio l’ingranaggio teatrale. Il colpo d’occhio è davvero piacevole ed evoca, senza connotazioni troppo vincolanti, un settecento mentale, dove vengono delineate con mano sicura – attraverso gli abiti e i pochi oggetti di scena – le caratteristiche psicologico-sociali dei personaggi: dall’aristocrazia decaduta del protagonista alla borghesia delle comari e dei loro mariti, senza dimenticare la classica figura del servo critico nei confronti del proprio padrone. Naturalmente, per restituire tali profili, è stato decisivo anche l’accurato lavoro di recitazione sui singoli interpreti.

Il baritono Giulio Mastrototaro ha affrontato il ruolo del titolo con notevole tenuta musicale, evidenziando sicurezza e disinvoltura scenica nell’affrontare la divertentissima tirata Sorte pettegola, dove manifesta il suo sdegno per l’involontario bagno nel fiume, e la grande aria Nell’impero di Cupido, dove invece esprime i suoi sogni di grandezza. Ne scaturisce un ritratto di Falstaff mai monodimensionale: altamente comico, ma non d’impietosa ridicolaggine, e anzi rischiarato da sprazzi di patetica umanità. Gilda Fiume, nei panni di Mrs Ford, ha sfoderato mezzi sostanziosi e gran scioltezza nei passaggi belcantistici, nonché doti da autentica commediante quando si presenta travestita da tedesca cantando in un maccheronico italo-alemanno. L’altra comare, Mrs Slender, era interpretata da Laura Verrecchia con un bel colore mezzosopranile: spetta proprio alle due amiche – dopo aver scoperto di essere le destinatarie di identiche lettere – il duettino La stessa, la stessissima, che rappresenta uno dei momenti migliori dell’intera opera. A interpretare i rispettivi mariti erano Marco Ciaponi (il geloso e moralistico Ford), in grado di venire felicemente a capo di una impegnativa scrittura tenorile che trascolora dal genere ‘patetico’ a quello ‘agitato’, e il baritono Michele Patti (l’assai più conciliante Slender), abile nei camaleontismi vocali che Salieri gli richiede anche se un po’ in affanno nella sua grande ‘aria con eco’ del secondo atto. Il basso Romano Dal Zovo ha incarnato un convincente servo di Falstaff, che qui si chiama Bardolf senza la “o” finale: una sorta di Leporello in chiave shakespeariana. Il giovane soprano Eleonora Bellocci, che completava il cast, ha ben figurato nei panni della cameriera Betty, con interventi sempre precisi.

Alla guida dell’Orchestra di Fondazione Arena di Verona e del Coro (accuratamente preparato da Roberto Gabbiani), il direttore Francesco Ommassini ha impresso un ritmo scorrevole e brillante all’esecuzione, magari a prezzo di qualche taglio nel secondo atto. È questo il miglior modo per dimostrare che quella di Salieri è musica non di routine, per quanto altissima, ma alimentata da autentica ispirazione. E per fare giustizia della vulgata del compositore arido, invidioso di Mozart e forse suo assassino.

Giulia  Vannoni