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Una parrocchia venuta da lontano

Non fosse per le sue ridotte dimensioni (poche case accoccolate attorno alla chiesa), San Giovanni in Galilea potrebbe competere con San Marino e San Leo per la spettacolarità del suo paesaggio e per la vastità del suo “sguardo” sulla Romagna. Da questo colle elevato, fatto di roccia e di tufo, ruotando per 360 gradi, sembra che tutto sia ai suoi piedi: Verucchio, Sant’Arcangelo, Savignano… e via via sempre più lontano fino a Rimini, Cattolica, Cesena e Ravenna.

Su questi sopraelevati pochi metri quadrati, fra la chiesa e il cimitero, sono incastonate poche case, ben curate e intonate allo stile antico, con la sua torre campanaria e la torre del museo. E c’è anche la porta ad arco, antico richiamo alla fortezza del castello: da qui non passano più cavalli e cavalieri, ma le invadenti auto, rumorose e affumicanti. Vicino all’arco c’è l’unico locale di ritrovo pubblico: la casa della Comunità.
Ma San Giovanni non si inorgoglisce più di tanto per la sua elevata posizione; si contenta di raccogliere attorno a sé e di proteggere le altre tre piccole comunità a lei affidate: San Martino in Converseto, sul crinale di Borghi, Gorolo ai suoi piedi e Masrola al suo fianco destro. Tutti insieme formano la comunità parrocchiale di San Giovanni martire o, come recita l’antica dicitura, San Giovanni Decollato, cioè decapitato.

Il parroco qui residente viene “di lontano”, dalla Polonia, e porta un nome strano, difficile da pronunciare: don Wieslaw Gutowski.
“Sono arrivato in Italia nel 1994. Dopo due anni trascorsi in Sicilia, nel 1996 sono approdato alla diocesi di Rimini e nel 1999 sono diventato parroco di San Giovanni, in sostituzione di un altro prete polacco, don Jurek. Qui io mi trovo molto bene e spero che anche la gente mi accetti e mi accolga”.

La parrocchia è piccola, ma il suo territorio è assai vasto.
“È vero, e anche la sua storia è voluminosa. Oggi la parrocchia conta complessivamente poco più di cinquecento anime, 556 per l’esattezza, ma raccoglie un enorme patrimonio storico e riunisce in unità ben quattro parrocchie preesistenti: con San Giovanni capoluogo, c’è San Martino in Converseto, esistente già nel XVIII – IX secolo, Santa Maria Maddalena di Gorolo, del XIV secolo e San Bartolomeo di Masrola.
Quest’ultima, di recente costruzione (1958), è erede della storia di San Bartolomeo di Calbana, importante castello di Romagna, distrutto completamente da una frana.

Ma la storia più antica e significativa è quella della Pieve di San Giovanni, del VII – VIII secolo. La chiesa sorgeva ai piedi dello sperone roccioso, fuori del castello, ed era chiesa battesimale, da cui dipendevano le chiese dei dintorni. Oggi San Giovanni ha conservato questo suo ruolo di chiesa madre, anche se il centro più abitato è quello di Masrola, sul fondovalle dell’Uso”.

Tratteggiata la morfologia della parrocchia, puoi raccontarci cosa vivete e cosa fate come comunità cristiana?
“Anche questo si fa presto a dirlo. Prima di tutto cerco di garantire la messa domenicale a tutte e quattro le comunità. Chi frequenta la messa sono circa 130 persone, complessivamente. Per il catechismo raccolgo i bambini a Gorolo; li preparo alla prima Comunione e alla Cresima. Quest’anno a settembre sono andati alla Cresima 7 ragazzi, mentre 6 bambini hanno fatto la prima Comunione.

Il resto della vita parrocchiale è segnata dagli avvenimenti famigliari: battesimi, matrimoni, funerali … Per avere un’idea dell’andamento demografico posso dire che nell’ultimo anno abbiamo avuto 6 battesimi e 13 funerali. Poi sono contento se qualche coppia si sposa nella mia chiesa, ma c’è qualche difficoltà perché sono straniero; infatti non ci sarebbero problemi per il rito religioso, ma non sarebbe accettato civilmente dal Comune.
Seguo mensilmente i malati con la confessione e la comunione e visito annualmente, per la benedizione pasquale, tutte le famiglie”.

Mi pare di aver sentito parlare anche di Comunità di recupero.
“Ce ne sono due: una della Comunità Papa Giovanni XXIII a San Martino in Converseto: ci sono 9 ragazzi più i responsabili. L’altra, San Maurizio, è a Masrola ed è molto più numerosa: conta 55 ragazzi ospiti e una quindicina fra operatori e responsabili. Entrambe le visiterò anche col Vescovo”.

Ultima domanda: non ti senti un po’ solo come prete, essendo fra l’altro straniero?
“No, perché in realtà non sono solo. Prima di tutto c’è la mia gente qui in paese e nelle frazioni, e poi ci sono i preti della Zona Pastorale: quelli di Sogliano, di Borghi, di Bagnolo e di Roncofreddo. Con loro c’è collaborazione per la pastorale ordinaria e poi ci incontriamo tutti i giovedì per pregare e pranzare insieme”.

Dalla Polonia a San Giovanni c’è un bel salto, ma nei giorni di sereno e con un po’ di fantasia don Wieslaw potrà sempre fare ritorno ai suoi monti Tatra, sui quali passeggiava anche il papa Giovanni Paolo II.

Egidio Brigliadori