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Una Norma a tutta voce

Una scena di NORMA con al centro il soprano Angela Meade _ Ph Stefano Ricci
Una scena di NORMA con al centro il soprano Angela Meade - Ph Roberto Ricci

Nella Norma andata in scena al Teatro Regio di Parma svetta come protagonista la cantante americana Angela Meade  

PARMA, 18 marzo 2022 – Destinato a trasformarsi in una forma di sorellanza, di rado testimoniata dal teatro d’opera, il rapporto tra le due rivali – la sacerdotessa Norma e la più giovane Adalgisa, entrambe cadute nella rete del seduttore Pollione – qui passa del tutto in secondo piano. Nonostante sia il vero perno drammatico del capolavoro di Bellini e la musica lo sottolinei con esemplare chiarezza: nel loro duetto utilizzano un arco melodico identico, distanziato soltanto in altezza.

Lo spettacolo di Nicola Berloffa, messo in scena a Parma dopo aver già transitato su altri palcoscenici emiliani, cambia completamente prospettiva: grazie alle scene di Andrea Belli e ai costumi di Valeria Donata Bettella modifica l’originaria ambientazione di Norma, teatro di scontri fra i romani conquistatori e la popolazione della Gallia, trasferendola a un ottocento funestato da rivoluzioni indipendentiste.

Il soprano Carmela Remigio (Adalgisa) e il tenore Stefan Pop (Pollione) - Ph Roberto Ricci
Il soprano Carmela Remigio (Adalgisa) e il tenore Stefan Pop (Pollione) – Ph Roberto Ricci

Si mantiene dunque il riferimento alla versificazione classicista del libretto di Felice Romani (1831), contraddetta però da luci violente e un finale truculento, in dissonanza con la musica di Bellini e la poesia del suo librettista. La protagonista infatti non salirà su quel rogo, che ha un profondo significato catartico, ma viene linciata dalle altre donne: le stesse che all’inizio componevano pietosamente sull’ara i morti del conflitto. Stando almeno alle dichiarazioni del regista, Norma ha infatti tradito la patria e, dopo essere stata ritenuta una guida per i Galli, ha ormai perso ogni aura sacrale: merita dunque il castigo di una folla non disposta a perdonarla. Come talvolta ci insegna la storia.

Privata di quel mirabile equilibrio tra urgenze emotive e aspetti formali, innescato dalla musica di Bellini, questa Norma ha trovato l’unico punto di forza nella protagonista Angela Meade: uno di quei soprani che con la voce riesce a fare davvero quello che vuole. La cantante americana – da qualche tempo si esibisce con sempre maggior successo sui palcoscenici italiani – ha sfoderato caratteristiche da soprano drammatico d’agilità oggi piuttosto rare: mezzi davvero fuori del comune le consentono grande naturalezza e facilità di emissione a tutte le altezze, la zona grave si espande con un registro di petto ben saldato al resto dell’edificio vocale, e nello stesso tempo l’ottava superiore è sempre limpida e sonora. Forse si poteva ottenere qualcosa in più dal punto di vista interpretativo, se solo il direttore avesse curato una comune visione d’intenti con gli altri cantanti. Invece ognuno dava l’impressione di regolarsi secondo le proprie possibilità, con il risultato di non reggere poi il confronto con la protagonista.

Collaudata Adalgisa, il soprano Carmela Remigio ha compensato un certo logorio – timbro depauperato, dizione poco scandita – grazie al suo istinto musicale. Solido e squillante quanto basta, ma poco sorvegliato sul piano stilistico, il Pollione del tenore rumeno Stefan Pop è apparso un personaggio non del tutto risolto. Invece il basso Michele Pertusi ha saputo imprimere una certa dignità tragica a Oroveso, padre di Norma, nonostante qualche stimbratura, più evidente quando andava alla ricerca di un maggior volume. Completavano il cast due lodevoli comprimari: Mariangela Marini, empatica Clotilde, la confidente della protagonista, e John Matthew Myres, corretto Flavio, amico di Pollione.

Sul podio dell’Orchestra Filarmonica Italiana, rivelatasi purtroppo inadeguata a un ruolo così impegnativo, Sesto Quatrini non è riuscito a rendere giustizia al capolavoro belliniano e al suo perfetto equilibrio formale. Forse a causa dei piccoli tagli distribuiti qua e là, la lettura è apparsa sfilacciata e – paradossalmente – lenta. Ma soprattutto si perdeva quella meravigliosa sensazione di “melodia infinita”, tanto amata da Wagner: certo non un estimatore qualsiasi di Bellini.

Giulia Vannoni