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Una farsa, ma non si ride

Il soprano Patrizia Ciofi (Rita) e il baritono Dietrich Henschel(Gasparo) - Ph Irene Trancossi
Il soprano Patrizia Ciofi (Rita) e il baritono Dietrich Henschel (Gasparo) - Ph Irene Trancossi

Al 47° Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano messa in scena Rita di Donizetti con Patrizia Ciofi nel ruolo protagonistico 

MONTEPULCIANO, 16 luglio 2022 – Un regista famoso, cantanti all’altezza dei ruoli, strumentisti che suonano bene e guidati da un bravo direttore. Sulla carta ci sarebbero tutti gli ingredienti per la riuscita dello spettacolo, eppure a Montepulciano Rita – spiritosa farsetta donizettiana – non coglie l’obiettivo, perché non riesce a far ridere. L’impressione suscitata dall’allestimento con cui si è aperto il quarantasettesimo Cantiere Internazionale d’Arte è che, ancora una volta, sia prevalso l’equivoco – inspiegabilmente diffuso – di considerare Donizetti un compositore che ha bisogno di aggiustamenti al momento di andare in scena: strattonato spesso da coloro che vogliono ricondurlo alla stagione rossiniana, senza tener conto che i suoi personaggi sono più moderni e sfaccettati sul piano psicologico.

Quest’‘opéra-comique’ scritta nel 1841, ma rappresentata solo dopo la morte del compositore, appartiene alla piena maturità di un Donizetti che aveva alle spalle L’elisir d’amore – con l’irresistibile figura di Dulcamara – e due anni dopo avrebbe scritto Don Pasquale, altro capolavoro conclamato. E volendo circoscrivere il confronto ai soli titoli comici. Tuttavia, anche nelle opere del suo ricco catalogo che non hanno raggiunto altrettanta notorietà, Donizetti non rinuncia mai a sperimentare e a percorrere strade inedite, riservando inesauribili sorprese.

Il soprano Patria Ciofi (Rita) - PH Irene Trancossi
Il soprano Patria Ciofi (Rita) – Ph Irene Trancossi

Rita si basa su un divertente libretto francese (il sottotitolo è Deux hommes et une femme) di Gustave Vaëz, ma è impensabile che non godesse della piena approvazione di Donizetti, oltre tutto ottimo letterato e sempre pronto a intervenire anche sui versi. La vicenda, del resto, offre più di una sollecitazione teatrale. La vedova Rita, risposatasi con Beppe, è proprietaria di una locanda, ma al contrario della saggia Mirandolina – protagonista del capolavoro goldoniano – sfrutta la manovalanza del marito a suon di ceffoni. Quando poi il precedente coniuge Gasparo, da lei ritenuto morto, torna nella locanda, tra i due uomini s’innesca una contesa: non per rientrare nelle grazie della moglie, semmai per sbarazzarsene definitivamente.

Spetta alla musica dar conto di tali atteggiamenti. Donizetti ricorre a effetti spiazzanti e mai banali, come quello d’imprimere un sapore altamente drammatico al terzetto del sottofinale, in modo da creare uno straniamento assoluto, ancor più comico. Peccato, però, che il contesto visivo dello spettacolo in scena al Teatro Poliziano, piuttosto plumbeo e tutt’altro che brillante, disinneschi l’effetto. L’originale prevede infatti la partenza di Gasparo e la riconciliazione della coppia, che si arrende così a un destino che li vuole uniti: qui, invece, i due uomini restano cadaveri ai piedi della dominatrice Rita.

L’effetto comico resta pertanto affidato solo a qualche gag e alle capacità attoriali dei tre interpreti, compresi i dialoghi parlati che sono una caratteristica del genere ‘opéra-comique’. Un soprano di lunga carriera come Patrizia Ciofi supplisce a una certa usura vocale con la notevole verve scenica con cui enfatizza il sadismo e la crudeltà del personaggio. Un altro veterano come il baritono Dietrich Henschel, ancora ben solido nella zona grave, punta soprattutto sugli accenti sinistri di Gasparo, enfatizzati da un retrogusto di accento tedesco, mentre il giovanissimo tenore Matteo Tavini, forse un po’ acerbo ma di indubbie qualità, non ha sfigurato accanto a questi due mostri sacri nel disegnare l’arrendevole Beppe. Però, quello che mancava davvero era la presenza dell’orchestra, ridotta a mero e flebile sottofondo delle parti cantate. Bisogna tener conto che la buca del Poliziano ha piccole dimensioni, ma un insieme da camera – come quello della trascrizione di Paolo Cognetti – non riesce a dare spessore sufficiente agli otto numeri musicali, nonostante l’apprezzabile bravura dei componenti l’ensemble fiorentino La Filharmonie, guidati con rigore e precisione dal sassone Marc Niemann.

Firmava lo spettacolo il regista francese Vincent Boussard, che si è avvalso della collaborazione di Federica Angelini e Luca Lucchetti per le scene, Mariafrancesca Biasella e Linda Lovreglio per i costumi: quattro giovani supervisionati da Domenico Franchi (storico collaboratore di Ezio Frigerio). Questa sì, un’operazione nel più autentico spirito del Cantiere.

Giulia Vannoni