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Un prete in carcere per diventare liberi

don nevio Faintanini
don nevio Faintanini
don nevio Faintanini
don nevio Faintanini

Devi averle combinate grosse se dopo 42 anni sei ancora in carcere”.

E’ il refrain con cui i sacerdoti riminesi salutano don Nevio Faitanini, classe 1947, cappellano della Casa Circondariale di Rimini. È dal 1980 infatti, ininterrottamente, che svolge questo servizio. Intervistarlo è un’impresa anche per chi lo conosce dagli anni di seminario. Come dicono a Rimini “ti sguilla via che è una meraviglia”. Ma noi siamo più testardi di lui.

E come hai fatto a finire in carcere?

“Prima di me era cappellano delle carceri don Sisto Ceccarini; ma ormai per l’età o forse anche per l’usura stressante del compito, aveva chiesto al Vescovo di essere sostituito. Così dalla nostra fraternità sacerdotale è nata la proposta al Vescovo di sostituirlo progressivamente con la mia presenza”.

Cosa fa un cappellano del carcere?

“Evidentemente si occupa dei carcerati e di tutto il mondo che gravita attorno a loro: personale e guardie del carcere, giudici, avvocati… Si incarica di mille incombenze: dal  rapporto con le famiglie d’origine al rapporto col mondo esterno del lavoro; si occupa dei detenuti in semilibertà o collocati in strutture alternative che grazie a Dio in zona ci sono; segue le vicende giudiziarie in tribunale e si fa garante davanti ai giudici di certe situazioni… Insomma non ho molto tempo per stare con le mani in mano”.

Ma don Nevio è conosciuto a Rimini anche per un’altra bellissima opera, il Pronto soccorso sociale di Santa Aquilina…

“Sant’Aquilina è una realtà più complessa: ospita, sì, detenuti in riabilitazione, ma anche persone scompensate in molti altri aspetti, come alcolizzati, ex drogati, dipendenti dal gioco, e così via”.

Da quanto tempo è attiva questa esperienza?

“Dal 1984. Abbiamo cominciato con la semplice casa colonica e adesso siamo arrivati ad una comunità di una sessantina di persone, ampliando la struttura e completandola con le infrastrutture per l’occupazione degli ospiti”.

E cosa fate per restituire dignità e fiducia in se stesse a queste persone?

“Intanto molti hanno bisogno di riordinare la loro vita anche da un punto di vista molto pratico, per cui devono stare a regole comunitarie ben precise, che aiutano anche a crescere nella responsabilità reciproca. Il progetto educativo poi viene improntato considerando le esigenze specifiche di ogni persona. Diverse sono le aree di attività: terapeutica, occupazionale, culturale e ricreativa. Insomma, gli impegni non mancano”.

Perché fai questo?

“Da ricordare quello che disse un Rabbì di 2000 anni fa: Non sono venuto per i sani, ma per i malati. E i malati ci sono dentro e fuori”.