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Un calcio a difesa della vita

LA STORIA. Difensore di Santarcangelo e Rimini, Paramatti era a Tel Aviv durante il conflitto

Quel sabato, sabato 7 ottobre 2023, Lorenzo Paramatti era sul posto. Era a Tel Aviv per lavoro, difensore del Maccabi Petah Tivka, nella serie A locale di calcio. E suo malgrado è diventato testimone di uno scenario di guerra.

Il tempo di capire quel che sta succedendo dopo che le sirene antiaeree lo hanno svegliato presto quel sabato. L’attacco di Hamas e la pronta risposta di Israele. Ma solo la domenica mattina, su suggerimento dei dirigenti societari, riesce a raggiungere l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, prendendo il volo per l’Italia.

Figlio di Michele (Juve e Bologna), Lorenzo è cresciuto nelle giovanili di Bologna e Inter, ma qualche infortunio di troppo gli ha modificato il percorso di vita proprio in gioventù. Dopo alcuni anni nelle serie inferiori fra cui la C a Gubbio, Piacenza e Rimini, ecco la scelta di campionati esteri. Prima la Romania, con un anno a Timisoara in Liga 2, e tre anni a Craiova, protagonista della promozione dalla Liga 2 alla Liga 1. Con godimento della fama sportiva in quel Paese dell’est europeo. Quindi, Israele, in campo dall’agosto 2023 con il Maccabi Petah Tikva per quella che: “ Confidavo essere un’esperienza nuova, a livello sportivo e umano”, ammette. Contratto firmato da pochi mesi, ma ecco una inattesa evoluzione.

La Uefa, dopo aver bloccato gli impegni internazionali di Israele, ne ha consentito la ripresa per la qualificazione agli europei 2024, sebbene giocati in campi esterni. Nazionale ora chiamata allo spareggio con l’Islanda in marzo e, se vince, probabile sfida in Ucraina per scegliere chi delle due andrà in Germania.

Quindi si gioca ancora in Israele?

“Il campionato interno prosegue tutt’ora. Dopo un po’ di tempo a casa, l’1 dicembre sono tornato a disposizione tanto che il 2 sono sceso in campo di nuovo. Ma la situazione non è migliorata, anzi, per cui io e altri due giocatori europei abbiamo risolto il contratto e in questi giorni siamo tornati a casa”.

Hai fatto diversi anni all’estero. In Romania come in Israele ti eri ambientato bene?

“Certamente. Più semplice parlare la lingua rumena vista la comune radice latina. Ma anche in Israele ero stato accolto bene, qualche parola l’ho imparata … da acqua, a destra o sinistra, ecc., e qualcuno là parla italiano oppure spagnolo.

Ci sono ebrei col doppio passaporto, provenienti da diversi Paesi”.

Insomma, c’era una certa tranquillità, ma all’improvviso è arrivata la guerra?

“La sera del 6 ottobre abbiamo guardato in tv la partita di rugby Francia-Italia.

Il giorno dopo, a pomeriggio, dovevamo giocare e invece, dopo l’allarme del mattino, cominciarono ad arrivare messaggi in cui ci veniva

detto di stare tranquilli, di stare in casa perché stavano morendo persone. Pian piano abbiamo realizzato la dimensione di quel che stava succedendo.

Prima accadeva qualche fatto violento ma noi stranieri si pensava che fosse un equilibrio interno, tra israeliani e palestinesi. Difficile da capire, ma che non ci coinvolgeva più di tanto”.

Tel Aviv è al centro di Israele. Che guerra hai visto da lì?

“Ho visto missili in cielo. E per fortuna quasi tutti vengono abbattuti. Vedevo il fumo alzarsi da Gaza. La gente girava tranquilla. Israele è un Paese aperto. Anch’io circolavo tranquillo. Tel Aviv è una città stupenda. Io abitavo vicino a un grande ospedale e dalla mia finestra ho visto tanti elicotteri scendere e portare soldati feriti. Ho visto persone andare e tornare dal fronte di Gaza.

Un giorno ho notato che il massaggiatore aveva qualcosa sotto la maglietta e chiedo informazioni. Scopro che era una pistola, perché temendo assalti da palestinesi residenti, anche per strada, sono tutti pronti a reagire. Uomini e donne. Ma ho visto anche un dirigente della squadra, anche lui la mia età, venire al campo da allenamento in tuta mimetica con tanto di mitra in spalla”.

A casa tua cosa ne pensavano?

“Beh, la pressione della mia ragazza e dei miei familiari mi ha portato a scegliere. Ero come a un bivio e ho scelto casa, anche se ora sono senza lavoro”.

Con tutte le squadre che ci sono in giro per il mondo?

“Beh, telefonate dalla Finlandia o dalla Georgia le ho ricevute. Ma in Finlandia stanno giocando al chiuso. Fuori fa anche -30. Ma sono le norme Uefa che fino a giugno mi impediscono tante opportunità.

E in Uefa non sono disposti a tener conto del fatto che sono uscito da un Paese in stato di guerra”.

Paramatti, è stop forzato?

“Per ora sono a Rimini, accanto alla mia ragazza. Ogni tanto faccio una puntata a Russi, in attesa di giugno.

Qualche anno di gioco conto ancora di farlo”.

a cura di Giulio Donati