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Un Barbiere destrutturato

Il mezzosoprano Mara Gaudenzi (Rosina) e il baritono Gurgen Baveyan (Figaro) - PH Luca Del Pia

A Trento Il barbiere di Siviglia con la direzione del giovane Alessandro Bonato alla guida dell’Orchestra Haydn 

TRENTO, 31 gennaio 2025 – Come fondale una parete colorata con un grande foro, al posto del consueto balcone da cui si affaccia Rosina. Un gigantesco occhio, che ogni tanto viene mosso sul palcoscenico, suggerisce come la prospettiva possa cambiare a seconda di chi guarda. Siamo a Siviglia: lo indica il cartello stradale che si vede al levar del sipario, ma potrebbe essere qualsiasi altro luogo, dato che il capolavoro di Rossini si colloca al di fuori del tempo e dello spazio.

Il mezzosoprano Mara Gaudenzi (Rosina) e il tenore Pietro Adaini (Allmaviva) – PH Luca Del Pia

Nel Barbiere di Siviglia messo in scena al Teatro Sociale di Trento dal regista Fabio Cherstich, che da quest’anno è artist in residence della Fondazione Haydn, le trovate si succedono una dopo l’altra, a ritmo frenetico. Tuttavia, non sono mai gratuite: dietro c’è un pensiero che trova giustificazione nella drammaturgia e, talvolta, entra in simbiosi pure con la musica, rendendo giustizia al ritmo inesorabile di quest’opera. A prezzo, magari, di qualche meccanicità. Concepiti da Nicolas Bovey, i pochi oggetti di scena a colori sgargianti – enfatizzati dalle luci di Marco Giusti – evocano una visualità di segno decisamente contemporaneo: dal pianoforte bianco alla poltrona di Don Bartolo, dal cavallo a dondolo giallo per Rosina alla piattaforma rossa basculante, dall’armadio che funziona come una quinta all’immancabile vasca (e spesso si alzano o abbassano grazie a un sistema di molle). A sottolineare il nuovo che avanza, contrapposto all’ancien régime, ogni tanto viene agitata una bandiera rossa.
Sono soprattutto i costumi diacronici, però, disegnati da Arthur Arbesser – artista che alterna l’attività teatrale a quella nel campo della moda – a imprimere un’identità precisa a ogni personaggio. Figaro è acconciato come un torero, seppure di colore verde; Almaviva indossa una redingote settecentesca, forse per evidenziare che è lo stesso Conte (sia pure un po’ più giovane) delle Nozze di Figaro mozartiane; Rosina è vestita con un abito rosa e rosso che esalta la sua giovane età, mentre Berta, nella divisa da cameriera, resta la più elegante. Di un personaggio dall’etica aberrante come Don Basilio vengono sottolineati gli aspetti mefistofelici: dalla sua tonaca nera escono mani guantate di rosso e il volto è dipinto con il carminio. Caratterizzato in modo più anonimo il medico Don Bartolo, che si presenta con un doppiopetto rétro.

Al di là di un certo stordimento provocato dalle immagini, punto di forza del Barbiere trentino è stato il versante musicale. Il giovane Alessandro Bonato ha guidato l’Orchestra Haydn, di cui diventerà direttore principale a partire dalla prossima stagione, traendo dagli archi ammirevole leggerezza e trasparenza. Con un’efficace gestione delle dinamiche – è sempre più raro ascoltare bacchette che riescano a far avvertire quei ‘crescendo’ che rappresentano la cifra rossiniana più distintiva – ha impresso varietà all’esecuzione e la sua lettura, grazie soprattutto a una frastagliata scelta dei tempi, non ha mai avuto attimi di cedimento.

Protagonista l’armeno Gurgen Baveyan, vocalmente corretto e atletico in scena, ma senza il peso baritonale necessario al ruolo di Figaro, per una voce poco rotonda e nell’insieme sottodimensionata. Il tenore Pietro Adaini ha mostrato una buona tenuta nell’impervio ruolo di Almaviva, arrivando indenne al rondò conclusivo Cessa di più resistere. Mara Gaudenzi non è una belcantista in senso tradizionale, ma ha affrontato il personaggio di Rosina con sicurezza e disinvoltura, sfoderando un bel colore mezzosopranile. In veste di ‘buffo’, Fabio Capitanucci ha interpretato uno spiritoso Don Bartolo, efficace nei recitativi e dal fraseggio ben articolato, un po’ meno fluido invece nel sillabato della micidiale aria A un dottor della mia sorte. In virtù di un accento sempre calzante, Nicola Ulivieri ha configurato Don Basilio dai tratti ironicamente sinistri. Francesca Maionchi è stata una Berta di voce penetrante, mentre Gianni Giuga si è fatto apprezzare nei panni sia di Fiorello che dell’Ufficiale. Affiancava i cantanti il versatile Ensemble Vocale Continuum, nella sola componente maschile, diretto da Luigi Azzolini, mentre in scena si è imposto, nei panni del servitore Ambrogio, l’acrobatico mimo Julien Lambert: surreale presenza che ha contribuito a movimentare ulteriormente la scena. Caso mai ce ne fosse stato bisogno.

Giulia  Vannoni