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Turismo in luce e controluce

Chiesa riminese. Iniziamo in questo numero a ricostruire il cammino della Pastorale del turismo negli ultimi 50 anni: gli interventi del vescovo Biancheri

È una grande opportunità per annunciare il Vangelo”. È il giudizio espresso da vescovo Nicolò fin dal primo momento in cui ha messo i piedi a Rimini nel conoscere, con meraviglia, i macro numeri del turismo della Rivera. Anche per questo, l’approccio con la pastorale del turismo è stato da subito fra le urgenze cui ha messo mano, convocando i parroci di mare e gli operatori pastorali fino all’incontro pubblico voluto come “ primo appuntamento di ascolto e riflessione”, rivolto a tutti gli operatori del turismo balneare (albergatori, bagnini, ristoratori..), insieme a sacerdoti e animatori delle liturgie estive, di mercoledì 19 aprile in Sala Manzoni.

Naturalmente il tema della pastorale del turismo non è nuovo in Diocesi. In alcune puntate cercheremo di ricostruire le scelte della Chiesa e di credenti riminesi in questi ambiti.

La prima tappa di questo percorso è nel magistero del vescovo Emilio Biancheri.

Infatti se all’arrivo di mons. Biancheri nel 1953, il fenomeno turistico aveva iniziato un promettente sviluppo, durante gli anni del suo Episcopato questo sviluppo raggiunse proporzioni gigantesche, sia per i servizi di ricezione messi in atto, sia per il numero di persone italiane e straniere, che venivano al mare; ma anche per i lavoratori che gestivano l’accoglienza turistica.

Basti pensare che nel 1967, su circa 40 km. di spiaggia nel riminese, i turisti furono 1.400.000, con un totale di presenze di 21 milioni e mezzo.

Sarebbe stato ovviamente un errore non predisporre un’intelligente pastorale del turismo, di fronte ad un fenomeno dalle proporzioni impressionanti. Furono così compiute utili e valide esperienze: l’accoglienza degli stranieri richiedeva anche la celebrazione di messe in lingua straniera.

Molte parrocchie invitavano nel periodo estivo sacerdoti stranieri per messe in lingua, e si arrivò fino a far studiare ai seminaristi il tedesco (tanti allora erano i turisti germanici) invece del francese e dell’inglese.

Monsignor Biancheri guardava con simpatia Io sviluppo di questo fenomeno, che portava benessere alla popolazione; ma soprattutto guardava “contro luce” i risvolti pastorali, spirituali, e di giustizia sociale. Già nella lettera pastorale della quaresima del 1971 aveva chiesto a tutti gli operatori del turismo e ai cristiani residenti di essere testimoni di una Chiesa ricca di fede ed accogliente nell’amore di Cristo.

Partecipando ad una tavola rotonda sul fenomeno del turismo espresse sinteticamente la sua linea pastorale, riportata dalla Rivista Diocesana n.41-42 del 1969.

Desidero sottolineare che da quando mi trovo a Rimini ho sempre accordato tanta e tanta attenzione al fenomeno turistico e mi sono sempre trovato in prima linea a compiacermi degli sviluppi che il turismo ha assunto nella nostra Diocesi. C’è stata una moltiplicazione di attività, un crescere di servizi, di dimensioni tali che hanno fatto della nostra riviera, specialmente di Rimini, la capitale turistica d’Europa.

Mi sono sempre attardato, più di moltissimi altri, a vedere il volto spiri-tuale del turismo e a sottolineare le responsabilità che ha la popolazione di Rimini nei confronti dei fratelli che vengono da ogni parte del mondo.

In questo movimento turistico io ho sempre detto che da un punto di vista ecumenico la Diocesi di Rimini ha una responsabilità particolare perché quelli che vengono a Rimini incontrano non soltanto le ricchezze di ordine turistico, paesistico, storico, incontrano l’anima di un popolo ed il cattolicesimo.

La comunità cristiana riminese ha una particolare responsabilità nei confronti di chi viene nella nostra Regione: in sostanza il cattolicesimo viene conosciuto attraverso di noi”.

Ma il pensiero va anche a chi lavora con fatica nel settore turistico, a volte in condizioni di estremo disagio.

“Il fenomeno turistico estivo pone un numero grandissimo di persone, in modo particolare di giovani e di donne, in condizioni di lavoro e di vita che non possono essere chiamate sempre umane: alloggi di fortuna e sovraffollati, orari di lavoro talora eccessivi, servizi troppo pesanti o moralmente pericolosi ai quali sono addetti anche i fanciulli. In tali condizioni per moltissimi manca, per mesi e mesi, un sufficiente riposo quotidiano e settimanale: manca persino la possibilità fisica e morale di vivere un’ordinata vita familiare e di attendere alla preghiera, ai sacramenti, alla messa” (RD 57-58/1971 ribadite nella lettera pastorale del 1972) È un richiamo chiaro perché la logica del profitto non neghi i valori umani e spirituali, tema che ritroveremo più volte in quel momento storico, in cui Gioventù Operaia, da poco nata in Diocesi, è fortemente impegnata nella difesa dei lavoratori stagionali. Ma ne scriveremo sul prossimo articolo.

a cura di Giovanni Tonelli