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Tre concerti sinfonici

Beatrice Rana al pianoforte - PH Riccardo Gallini

Gli ultimi appuntamenti sinfonici della settantaquattresima Sagra Musicale Malatestiana. Successo per Chailly e Pappano 

RIMINI, 28 novembre 2023 – Con il concerto della magnifica Chamber Orchestra of Europe, guidata da Antonio Pappano, è calato definitivamente il sipario sulla programmazione sinfonica della settantaquattresima Sagra Musicale Malatestiana. Il direttore inglese, seppure di famiglia italiana, ha scelto brani a lui particolarmente congeniali, in grado di valorizzare le sue non comuni capacità comunicative. La serata si è aperta con Introduzione e Allegro op. 47 dell’inglese Elgar: autore replicato pure nel bis, con il sognante Nimrod. Apoteosi della fantasia romantica – si muove fra sinfonia, concerto e grande sonata – è stato poi il celeberrimo Concerto in la minore per pianoforte di Schumann. Solista e oggi fra le star internazionali più acclamate della tastiera, come non succedeva ormai da tempo a strumentisti italiani, Beatrice Rana, anche lei dotata d’infallibile comunicativa. Palpabile l’affiatamento fra i due: il direttore le ha sempre lasciato il primo piano, dandole la possibilità di sfoggiare il perfetto dominio del suo strumento e – al tempo stesso – non ha perso l’occasione per dimostrare la propria musicalità, restituendo dimensioni cantabili a una pagina che, in estrema sintesi, è un brano pianistico con accompagnamento orchestrale. Continuando nello spirito romantico, la seconda parte del programma era affidata alla Sesta sinfonia in re maggiore, composta da Dvorák nel 1880. Ed è proprio la componente romantica che il direttore enfatizza, persino nel terzo movimento, ‘Scherzo Furiant’, che – con le sue reminiscenze folcloriche – parrebbe far imboccare al compositore una differente strada, incanalandola invece verso un seducente flusso melodico.

La violinista Midori – Ph Timothy Greenfield Sanders

Ripercorrendo le altre due serate precedenti, quella che ha avuto come protagonista l’ottima Festival Strings Lucerne (primo violino concertatore Daniel Dodds) sarà da ricordare per il generoso ed eclettico programma. In apertura Arthur Honegger con Pastoral d’été, brano del 1920 valorizzato da un’esecuzione adamantina, seguita dal recentissimo – première 2017 – Caprice IV Es muss sein dello svizzero Richard Dubugnon: pagina ricca di sfumature, in grado di valorizzare tutte le potenzialità dell’orchestra (del resto l’autore è anche il contrabbassista della Festival Strings Lucerne). Ospite della serata Midori, violinista giapponese acclamatissima fin da quando esordì, undicenne, con Zubin Mehta. Protagonista del Concerto per violino e orchestra in re minore di Schumann (1853), ha unito l’impareggiabile sicurezza esecutiva all’affiatamento con gli strumentisti, trascolorando con assoluta naturalezza da oasi di serenità a squarci febbrili. Fin troppo compassata invece l’esecuzione della Romanza per violino e orchestra in fa minore op.11 di Dvorák (1879), dove forse avrebbe potuto azzardare un piglio più energico. La serata si è conclusa con la Settima di Beethoven. L’organico ridotto aveva il pregio di restituire quelle proporzioni orchestrali che verosimilmente esistevano nel 1812, ma è proprio in questa meravigliosa sinfonia dove più si è avvertiva la mancanza di un direttore. Dodds è un bravissimo strumentista, però non basta ammirare solo la bravura delle diverse sezioni strumentali: talvolta, sarebbe stato necessario regolare in altro modo l’equilibrio esecutivo, in termine di velocità e dinamiche.

È invece un rapporto ideale quello tra Mahler e Riccardo Chailly, protagonista di uno splendido concerto con la Filarmonica della Scala, di cui è direttore musicale da otto anni. Dopo il Preludio sinfonico in do minore, lavoro giovanile di controversa attribuzione – un tempo si riteneva che l’autore fosse Bruckner – era in programma la Prima sinfonia, il celeberrimo Titano (1889) che segna il passaggio verso un novecento ormai imminente. Una lettura analitica, quella di Chailly, sempre attenta a scandagliare i temi e, al tempo stesso, mai frammentaria. Ma soprattutto un’interpretazione coinvolgente, caratterizzata da un’inesausta ricerca timbrica e coloristica, come si conviene a un direttore passato attraverso tanto repertorio contemporaneo e operistico. Per Mahler infatti la cantabilità non rappresentava solo un retaggio ottocentesco ma era in grado d’innescare anche soluzioni provocatorie, come succede nel terzo movimento con il canone di Fra Martino. La Filarmonica, dai timpani ai fiati, ha corrisposto benissimo il direttore; e se pure gli archi avessero avuto maggior corpo, si sarebbe trattato di un’esecuzione veramente da manuale.

Giulia  Vannoni