Home Cultura Tre accordi e il desiderio di verità. Rock, ricerca d’infinito

Tre accordi e il desiderio di verità. Rock, ricerca d’infinito

Diavolo d’un Meeting. Nel suo desiderio infinito, ha finito per incontrare, pardon cantare, anche il rock e tra un riff e l’altro lo ha riabilitato. “Tutto ciò che vive è sacro. E quindi lo può essere anche il rock” chiosa Erika Elleri, la giornalista dell’ufficio stampa che ha intervistato John Waters, il principale curatore della mostra “Tre accordi e il desiderio di verità. Rock ’n’roll come ricerca dell’infinito”. Il rock, chitarre lancinanti, artisti spesso maledetti, batterie che sfondano, bassi che incalzano, cantanti che a volte ammiccano, in altre strofe urlano, che va a braccetto del bimillenario dell’Indipendenza dell’America Latina e la cattedrale di Milano, Dostoevskij e l’Albania, tanto per citare alcune mostre del Meeting 2012? Non è il gusto della contraddizione, la ricerca del paradosso a tutti i costi. Ascoltate Bruce Springsteen per credere. Proprio il Boss di Born in the Usa: parla di Dio in modo esplicito, di speranza e di redenzione, e se spesso gli ascoltatori italiani non se ne sono accorti la colpa è dei traduttori del belpaese che hanno “stravolto” le lirycs di Springsteen. “Questa musica innanzitutto risveglia il desiderio di libertà, che è una cosa buona. – spiega Waters – Anche la più semplice canzone d’amore diventa l’espressione di un desiderio d’infinito e di grandezza”.
Redigere una compilation con tre accordi e un desiderio di verità, è più facile di quel che si possa pensare. “Gesù, Gesù aiutami sono solo in questo mondo e un mondo così distrutto è troppo per me raccontami. Raccontami la storia quella sull’eternità e come andrà a finire” canta Bono in Wake up Dead Man degli U2.
Mettete sul piatto Dylan e i Beatles, Coldplay e Leonard Cohen, Munford & Sons e avrete un veicolo a sette note della dimensione religiosa dell’uomo. È vero: sul palco del Meeting (la festa finale trasporta live la mostra) non si alzano preghiere canoniche, ma ballad potenti e “pistolettate” in quattro quarti condite da voci di regola sempre incisive. Ma song come I still haven’t found o Gotta Serve Somebody non sono la colonna sonora che accompagna l’afflato di infinito dell’uomo contemporaneo? Non c’è solo “spettacolo” o “intrattenimento” nello spartito del XX e XXI secolo. L’uomo non può vivere senza una certezza sul proprio destino. Per ciascuno è possibile, qui ed ora, stendersi come un ponte sopra le acque agitate della vita. In inglese suona Bridge over troubled water, un capolavoro che dobbiamo a Simon e Garfunkel. E cantando con Leonard Cohen (Sister of Mercy), anche gli uomini soli hanno la scelta: diventare santi o rimanere peccatori.

Paolo Guiducci