Tenuta Santini, una goccia doc

    Fare l’imprenditore agricolo in una provincia vocata al turismo balneare come quella riminese non è sempre facile. Anzi, è difficilissimo. Ma c’è chi ci riesce mettendo sul terreno tutta la sua volontà, tutta la sua gioia di vivere e respirare quegli odori inconfondibili che solo la campagna può regalare. Se poi alla passione ci si aggiunge anche la bravura, ecco che il prodotto che ne esce è di quelli doc. Come i vini e l’olio che escono dalla Tenuta Santini fondata negli anni Sessanta dai fratelli Giuseppe e Primo e oggi portata avanti da Francesco, Enrico e Sandro. Proprio con quest’ultimo abbiamo cercato di tuffarci in un ipotetico viaggio tra filari, macine, problemi e speranze future.
    Ci tolga subito un dubbio: ma è così difficile fare l’imprenditore agricolo in una provincia balneare come la nostra?
    “Guardi, per rispondere a questa domanda le racconto un episodio che fotografa perfettamente la situazione. Poco tempo fa ho ordinato da un imprenditore toscano le barrique per il vino. Quando mi ha chiesto da dove chiamavo e gli ho risposto Rimini, mi ha detto: «scusi, ma vuole le barrique o le brandine?». Chiaramente era una battuta, però è sintomatica di un certo modo di pensare”.
    Come mai una tenuta proprio a Coriano?
    “Perché è un territorio a vocazione agricola. Forse non tutti sanno che il vino, la vite e l’olivo hanno una storia e una tradizione millenaria. La presenza di vitigni autoctoni è testimoniata dal rinvenimento di tralci e frutti risalenti addirittura al paleolitico, mentre le prime attestazioni certe di viticoltura sono datate al VI secolo a.C. Pensi che a Roma hanno ritrovato una lapide dedicatoria dell’anno 251 d.C. che segnala negozianti di vino riminesi attivi nella capitale. Nonostante la caduta dell’Impero abbia finito per inaridire i commerci e le attività, la produzione agricola del territorio ha conservato nei secoli un’importanza rilevante. Tanto che l’antico fundus Cornelianus – da cui il toponimo Coriano – è ancora oggi il centro agricolo più importante della provincia, nel frattempo diventata la capitale europea del turismo”.
    Al di là della battuta di prima, com’è la vita di un imprenditore agricolo della provincia di Rimini?
    “Un imprenditore del mio settore deve tenere presente anche la vocazione del territorio in cui si trova a operare. Le sorti del settore vitivinicolo sono determinanti in riferimento alla vocazione di Coriano. Questo è un dato fondamentale, se non sei in grado di valorizzare il tuo territorio di appartenenza non c’è futuro, quindi la mia attività si basa soprattutto su una profonda conoscenza della mia terra. La sfida che lanciamo sta proprio in questo, andando a ripescare le nostre origini vogliamo offrire l’immagine di una Rimini diversa da quella che la gente è abituata a conoscere. Coriano, per esempio, dispone di cinque frantoi, in pratica è un territorio ricoperto di ulivi. Ma questo sono in pochi a saperlo. È necessario, invece, riscoprire complessivamente un territorio provinciale che non ha soltanto una vocazione turistica balneare ma ha anche altre opzioni”.
    Secondo lei si potrebbe fare di più da questo punto di vista?
    “Guardi, con la Provincia organizziamo ogni luglio «Passaggi di vino» sulla battigia, per la «Strada dei vini e dei sapori» sempre la Provincia mette a disposizione 80mila euro e ogni anno organizza uno stand collettivo a «Vinitaly» a Verona. Insomma, le istituzioni si danno da fare, il problema qui è un altro”.
    Ossia?
    “Il rapporto con gli albergatori. Pensiamo che sia anche un loro interesse avere un rapporto positivo con l’entroterra. La valorizzazione del prodotto tipico rappresenta a nostro modo di vedere un valore aggiunto per la riviera. Sarebbe fondamentale che ogni struttura turistica avesse sulle proprie tavole prodotti locali, sarebbe un’unione d’intenti che porterebbe certamente grandi risultati per tutti. Speriamo prima o poi di raggiungere questo traguardo”.
    Ci scusi, ma l’entroterra non potrebbe camminare contando solo sulle proprie forze?
    “Potrebbe. Ma per farlo occorre un’azienda leader che faccia da traino, che sia un punto di riferimento, come può essere San Patrignano. Comunque l’obiettivo è sempre uno: puntare sulla qualità in riferimento alla vocazione del territorio. Per centrarlo bisogna che anche le cantine sociali facciano, però, un salto di qualità”.

    Patrizio Placuzzi