Home Editoriale Tassare i profitti, non la vita

Tassare i profitti, non la vita

Christine Lagarde, President of the ECB, at the plenary session of the European Parliament @European Parliament from EU, CC BY 2.0 , via Wikimedia Commons

di Stefano De Martis

Christine Lagarde, President of the ECB, at the plenary session of the European Parliament @European Parliament from EU, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

L’inflazione appare tutt’altro che domata, nonostante i ripetuti interventi delle autorità monetarie sui tassi d’interesse.

Le previsioni indicano una discesa nella seconda parte dell’anno, ma intanto l’arma dell’aumento del costo del denaro per frenare l’incremento dei prezzi sembra aver progressivamente diminuito la sua efficacia. Con il duplice effetto di togliere ossigeno all’economia (recessione?) e di non impedire all’inflazione di falcidiare i redditi dei lavoratori e delle famiglie, soprattutto quelli medio-bassi.

Se la terapia tradizionale non funziona in misura adeguata, forse bisognerebbe interrogarsi sulla natura e sulle cause specifiche del fenomeno inflattivo in corso. Qualcosa si muove in questo senso se anche a livello delle autorità monetarie si comincia a parlare di “ inflazione da profitti”.

La presidente della Bce, Christine Lagarde (foto: European Parliament from EU, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons), ha dichiarato che “ i margini di profitto continuano ad aumentare visto che qualcuno sta cogliendo l’occasione di mettere alla prova la domanda dei consumatori sfruttando lo squilibrio tra domanda e offerta, aumentando i prezzi oltre quanto reso necessario dai costi”. Ancora più esplicito Fabio Panetta secondo cui “ stiamo probabilmente prestando troppa poca attenzione agli utili aziendali”. Ci sono comparti, ha sottolineato il membro italiano della Bce, in cui “ i costi delle materie prime stanno calando ma i prezzi per i consumatori sono in rialzo, come anche i profitti”. Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo i calcoli dell’agenzia Bloomberg la ricerca di maggiori profitti da parte delle imprese è all’origine del 60% dei rincari.

Da questa analisi si potrebbero trarre almeno due filoni di conseguenze. Il primo riguarda un ponderato ma sincero ripensamento delle strategie per combattere l’inflazione. Ci portiamo dietro, per esempio, un atavico timore per quella che viene correntemente definita “spirale prezzi-salari”, un circolo vizioso che in passato ha innescato processi di difficile contenimento. Ma oggi siamo al problema opposto perché i prezzi salgono e i salari lo fanno in modo incomparabilmente inferiore, quando non restano proprio al palo (e quindi di fatto diminuiscono).

Il secondo filone interessa il tema del reperimento delle risorse per le iniziative del Governo.

L’esempio più evidente e attuale è nella ricerca delle coperture per finanziare il taglio del cuneo fiscale – deciso con il decreto lavoro per gli ultimi sei mesi dell’anno in corso – anche per tutto il 2024. Operazione complessa che dovrà fare i conti con l’andamento complessivo dell’economia e dei mercati. La riflessione sulle cause dell’inflazione indica un percorso di ragionevolezza ma anche di equità: se i profitti sono cresciuti a dismisura è soprattutto lì che bisogna attingere, non rosicchiando risorse al sistema di welfare che supporta proprio le fasce di popolazione più colpite dall’aumento dei prezzi.