Parlare di barriere architettoniche alla fine del 2018 può sembrare quasi anacronistico, ma purtroppo è un problema ancora presente in gran parte del nostro Paese (e non solo) che crea disagi a tutti, ma soprattutto a chi – per ragioni diverse – ha capacità motorie ridotte o impedite. Ogni ostacolo, sia esso un muro, una scala o una porta troppo stretta, che limita la libertà di movimento a qualcuno, riduce in chi ha delle disabilità anche la propria volontà. È un problema che vede coinvolti anche noi: ogni giorno possiamo decidere, infatti, con le nostre azioni e i nostri comportamenti di prendere parte alla difesa di diritti che la legge vigente troppo spesso non tutela. Oppure, possiamo decidere di chiamarci totalmente fuori dalla faccenda, e rimanere spettatori indifferenti. Chi di noi non si è mai imbattuto in situazioni spiacevoli, con qualcuno che occupa uno spazio riservato ad altri o che, parcheggiando frettolosamente per una commissione veloce, chiude un passaggio che per qualcun altro sarebbe invece indispensabile? Sono scene che, purtroppo, viviamo quotidianamente e che spesso ci vedono attori passivi.
Decido di parlarne con due persone, due ragazzi coraggiosi: Andrea e Silvia (Sissy, per gli amici) sono due giovani che alcuni anni fa si conoscono in una struttura di riabilitazione dove lei lavora come OSS. Lui, invece, è un paziente. All’età di 23 anni, infatti, Andrea resta coinvolto in un tremendo incidente stradale che spezza i suoi sogni di ragazzo e lo costringe su una sedia a rotelle. La diagnosi è terribile: tetraplegia, paralizzato dal collo in giù. Dopo un po’ di frequentazioni i due si innamorano, decidono di sposarsi e oggi, dopo un paio di traslochi, vivono a Santarcangelo.
Nella bella città clementina si sentono accolti, hanno amici e tanta gente che sta loro vicina. Ma, inutile negarlo: tutti i giorni si scontrano con la maleducazione di molti e con ostacoli insormontabili.
“Sia chiaro – precisa Sissy – viviamo in un luogo che non cambieremmo mai per nessun altro al mondo. Quando ho dovuto abbandonare il lavoro per assistere mio marito, abbiamo passato momenti molto duri. Da circa un anno, dopo essere stati per un certo periodo di tempo in graduatoria, ci è stato assegnato un alloggio popolare e per questo saremo per sempre grati al Comune e agli amministratori. Ma ogni giorno dobbiamo faticare tantissimo per cose che, per molti, sono fin troppo banali”.
Raccontano di come uscire per fare la spesa, ad esempio, sia quasi un incubo: sono costretti ormai a limitare gli acquisti a un paio di supermercati, dove Andrea riesce ad accedere senza grosse difficoltà. La grande maggioranza di negozi e boutique in città non ha entrate accessibili e se Andrea decidesse un giorno – ad esempio – di andare a far compere da solo per fare una sorpresa alla sua adorata compagna, non ci riuscirebbe: anche un solo scalino vieta l’accesso a chi è in carrozzella e, di conseguenza, la presenza di un accompagnatore è sempre indispensabile.
Andrea e Silvia hanno creato una pagina Facebook (“Santarcangelo senza barriere”) per dar voce a chi da solo non ce la fa o è stanco di provarci. “Noi ci facciamo forza l’un l’altro. Tutto sommato, stiamo bene. Ma – fa riflettere Silvia – pensiamo a chi è solo, a chi non ha parenti o amici che possano aiutare e non ha mezzi per potersi permettere un’assistenza a pagamento. Non vogliamo rompere le scatole, non siamo arrabbiati con l’Amministrazione, ma la noncuranza e la maleducazione sono per noi intollerabili. Come anche il mancato controllo, da parte di chi di dovere, nei confronti di chi non rispetta le regole”.
Andrea racconta che tempo fa ha dovuto firmare dei documenti in strada, perché la rampa di accesso davanti alla banca era ostruita da un’automobile. Ultimamente, un viaggio in treno è stato per lui e Silvia un’odissea: nonostante la preventiva segnalazione a Trenitalia, il vagone è arrivato privo di sollevatore e non vi era personale per l’assistenza. La stazione stessa di Santarcangelo, come peraltro quelle di tante città in Italia, non ha pedane o carrelli per disabili, pur avendo un comodo ascensore. “Secondo noi – continuano i due ragazzi – il Comune ha l’obbligo di sollecitare Trenitalia affinché anche la nostra stazione venga dotata di elevatori. La parola di un privato cittadino conta poco, quella di un’Amministrazione pubblica pesa certamente di più”.
Parlando con loro, ci si rende conto che i problemi di chi ha difficoltà (siano esse motorie, visive, uditive o solo di anzianità) sono davvero molti e fanno parte della quotidianità. Quasi tutto per un disabile è inaccessibile: la maggior parte degli uffici si trova spesso in immobili che presentano barriere architettoniche non indifferenti. Anche gli ospedali e le farmacie hanno spesso gli ingressi ostruiti da mezzi, carrelli, materiale di vario genere che non disturbano un normodotato ma ostacolano enormemente chi di per sè già soffre per qualche disagio. Gli ascensori di molte strutture sono stretti, le porte di tanti luoghi pubblici sono piccole, gli ingressi delle chiese in tanti casi presentano uno o più scalini e non hanno rampe di accesso laterali.
Andrea continua a raccontare, facendo notare come i parcheggi stessi siano un grosso problema. A suo parere nella nostra città sono pochi e fatti male: “È inutile prevedere stalli riservati ai portatori di handicap dove dal lato del guidatore c’è la strada e dal lato passeggero c’è un marciapiede: come si fa a scendere? Se l’invalido fosse al volante, dovrebbe aprire lo sportello impedendo lo scorrimento del traffico sulla strada; se invece fosse trasportato, avrebbe difficoltà ad uscire per la prossimità del marciapiede. Sarebbe bene studiare dei piani efficienti: basterebbe, ad esempio, prevedere alcuni stalli in più in piazze o parcheggi senza ostacoli. I parcheggi a ridosso dei parchi, ad esempio, spesso sono inarrivabili per noi: il selciato è in molti casi fatto di mattonelle coi buchi al centro che permettono la crescita dell’erba: belle esteticamente, ma ben poco funzionali per chi deve farci passare sopra delle ruote”.
Andrea e Silvia, coi loro racconti, fanno capire come troppo spesso si diano per scontate alcune cose che, al contrario, non lo sono affatto: un muro di cinta troppo alto, ad esempio, che impedisce la vista a chi è su una sedia a rotelle, le difficoltà per i non vedenti in presenza di un marciapiede senza rampa o di un passaggio pedonale senza segnale acustico… e gli esempi sarebbero tantissimi.
Infine, Andrea e Silvia riferiscono di una disavventura capitata poco tempo fa: con amici decidono di prenotare al ristorante e – pur avendo specificato, al telefono, che due persone su sei erano portatori di handicap – al loro arrivo trovano un tavolo piccolissimo, incastrato fra mille altri tavoli. Ma la situazione più angosciante è arrivata al momento della necessità di usufruire dei servizi: la porta del bagno per disabili era ostruita da altri ospiti del locale, intenti a cenare.
Un imbarazzo generale ha gelato gli animi di tutti, tranne quello del ristoratore.
“Dopo aver dato notizia della traversia sui social o tramite altri canali, abbiamo ricevuto messaggi di solidarietà ma, al tempo stesso, anche messaggi ostili. Non è raro, infatti – dice Andrea – che ci arrivino aspre critiche o attacchi del tutto gratuiti”. È vero, spesso denunciare episodi di intolleranza o comportamenti scorretti non è gradito a tutti, specie a chi dà al motto “Vivi e lascia vivere” un’interpretazione del tutto personale.
Ma Sissy e Andrea, nonostante tutto, si sentono sereni? “Certo, il nostro amore è la nostra forza. I nostri amici sono un sostegno concreto ed è uno stimolo, per noi, sapere che la sensibilità ai nostri problemi accresce di giorno in giorno”.
L’invito per ognuno di noi è di prendere coscienza che ogni nostro comportamento può limitare o favorire la libertà di chi ci sta accanto. Denunciamo quindi azioni scorrette, battiamoci in prima persona per aiutare chi è più debole di noi, segnaliamo alle Amministrazioni strade malmesse, marciapiedi rotti, parcheggi occupati da non aventi diritto, accessi impediti o quant’altro ci possa far immaginare le fatiche di chi è più sfortunato. Decidiamo, quindi, di metterci in gioco.
Perché i veri limiti esistono in chi resta a guardare.
Roberta Tamburini