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Still Alice, amore e sobrietà nella malattia

Alice (la brava Julianne Moore, candidata all’Oscar per ruolo e già con il Golden Globe in tasca), brillante professoressa di linguistica, sposata (il marito è Alec Baldwin) con tre figli, protagonista di un’esistenza agiata e felice, deve fare i conti con una diagnosi di Alzheimer precoce. Una malattia che annulla progressivamente la memoria, provoca spaesamento e smarrimento ed entra nella vita della donna come un fulmine a ciel sereno, mentre attorno a lei la famiglia si prodiga per assisterla in questo cruciale evento.
Il tema dell’Alzheimer è stato trattato in diversi film (ad esempio Away from here-Lontana da lei di Sarah Polley del 2006) ma qui si evidenzia l’inattesa esplosione della malattia, in una persona di 50 anni come Alice nel pieno della vita che non si aspetta di dover mollare tutto per un doloroso percorso di degrado fisico e psicologico. Tratto dal libro Perdersidella neuroscienziata Lisa Genova, il film di Glatzer e Westmoreland si muove con pudore e sensibilità in un racconto misurato e sobrio, magari senza particolari guizzi innovativi di regia, ma in grado di assicurare le giuste atmosfere.
La storia di Alice e del suo progressivo declino è raccontata attraverso il filtro della famiglia, appiglio fondamentale che dimostra quanto l’amore dei “cuori vicini” sia necessario e determinante. Tra le mura domestiche cene e feste lasciano il posto alla solidarietà e all’assistenza, certo con la presenza di un dolore sempre più acuto nel vedere una mente brillante che si spegne e perde i suoi riferimenti e una personalità sempre più smarrita e confusa.
In Still Alice colpisce particolarmente la sobrietà di racconto che non cerca mai il “colpo” emotivo ad effetto ma mantiene con rispetto e rigore lo sguardo ad una donna ammalata.