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Stanchi ma aggrappati al bene

coronavirus infermiera stanca

A un anno dall’inizio dell’emergenza Covid abbiamo chiesto ad alcuni operatori sanitari di raccontarci quei giorni e questi giorni, tristi e drammatici, ma anche ricchi di umanità.

“La prima fase di questa pandemia COVID ha fatto emergere in tutti gli operatori sanitari, una grande disponibilità, un grande impeto a mettersi in gioco; tutto era nuovo e chiedeva la collaborazione di tutti per affrontare la situazione, ci si è sentiti più uniti.

La seconda fase, per il mio Reparto di Medicina, è iniziata il 27 ottobre, giorno in cui abbiamo cominciato a ritornare “Reparto Covid” e fino ad oggi è tutt’ altro che conclusa.

Quell’impeto iniziale che ci ha permesso di fronteggiare tante situazioni sconosciute, è più debole: con tutto il nostro “daffare”, non siamo in grado di cambiare nulla.

La durezza della circostanza rimane in tutte le sue sfaccettature, in primis vedere tante persone anziane vivere in solitudine la loro malattia e per alcune anche il compimento della loro vita. Dall’altra parte la frustrazione dei parenti che si sentono impotenti in tutto questo dolore.

Questa situazione sta determinando in noi il rischio di una pesantezza, una stanchezza che non è solo fisica (anche se di fatto i turni a volte sono un po’ tosti), ma è soprattutto nell’intimo della persona. Di fronte a questa drammaticità, oggi più che mai siamo messi a nudo: o lasciamo emergere la domanda, dal profondo del nostro cuore, su cosa regge la nostra vita o rischiamo di diventare cinici.

Racconto un piccolo episodio che fa capire bene di che pesantezza parlo.

Pochi giorni fa un’infermiera, di fronte al terzo decesso nell’arco di dieci ore, si è messa a piangere dicendo che lei non ce la faceva più a reggere questa situazione.

In una circostanza così drammatica ogni parola rischia di essere inutile.

Per me l’unica cosa che permette di non rimanere schiacciati di fronte all’impotenza, è rimanere attaccati a tutte le esperienze di bene che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere: ad esempio quando vediamo la gioia in chi torna a casa perché guarito; quando riusciamo attraverso wathsapp a mantenere un rapporto costante tra persone anziane e i loro familiari; quando si instaura un dialogo bello, anche solo con gli occhi, con le persone malate come dimostra ad esempio questa bellissima poesia che ci ha fatto una paziente il giorno di San Martino e che vi trascrivo.

Per me l’unica cosa che permette di non rimanere schiacciati di fronte all’impotenza, è rimanere attaccati a tutte le esperienze di bene che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere: ad esempio quando vediamo la gioia in chi torna a casa perché guarito; quando si instaura un dialogo bello, anche solo con gli occhi, con le persone malate come dimostra ad esempio questa bellissima poesia che ci ha fatto una paziente il giorno di San Martino e che vi trascrivo: “ San Martino sei tu, tu che tutti i giorni ti chini su di me per accudirmi, curarmi, prendermi a cuore il tuo mantello non è rosso, ma verde, blu il tuo elmo è una mascherina, occhiali visiera ma io vedo i tuoi occhi occhi alle volte stanchi persi a cercare vene occhi che brillano alle mie conquiste occhi che resteranno in me per sempre. San Martino è rinascita della natura che dopo cura e riposo darà buoni frutti Con tutto il cuore ti auguro tutto il meglio al mondo.”

Veramente ogni giorno ci è chiesto di scegliere, di fronte a questa circostanza che non possiamo cancellare o modificare, se lasciare che sia la nostra tomba, il nostro annientamento o che sia il luogo misterioso attraverso cui, Colui che ci dà la vita ed è Signore di tutta la realtà, provoca il nostro cambiamento.

AnnaForlani