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Spiagge in vendita, maremoto in arrivo

Spiagge bollenti in questo primo freddo scorcio d’autunno. A tenere banco è l’incubo che da anni si affaccia tra gli ombrelloni della Riviera per poi periodicamente svanire, ma solo fino alla prossima irruzione: la Bolkenstein, la direttiva europea del 2006, che prevede la messa a gara delle spiagge nel rispetto della libera concorrenza. Per i 7.400 chilometri di arenile italiano che in gran parte vivono di rinnovi automatici delle concessioni, sarebbe una scottatura difficile da superare. Di fatto, agli occhi dell’Europa, l’Italia continua a infrangere le regole. Una legge ad hoc non è ancora stata elaborata, il problema è solo stato congelato fino alla fine del 2015. Con il rischio che dal 1° gennaio 2016 l’Europa torni a battere il pugno sul tavolo.
Il Sottosegretario all’Economia con delega al demanio, Pier Paolo Baretta (Pd), ha proposto di mettere in vendita il tratto di spiaggia più a monte (occupato da bar, ristoranti e cabine) dando diritto di prelazione agli attuali concessionari. Una rivoluzione. Questa parte demaniale diventerebbe patrimonio e quindi potrebbe essere venduta (ma non svenduta, precisa Baretta). Quella più a mare – la zona ombrelloni – rimarrebbe demanio e verrebbe assegnata tramite aste al miglior offerente, ma con diritto d’opzione per il bagnino proprietario a monte. Lo spezzatino è servito, ma solo apparentemente. Una volta che si arriva a possedere metà di una strada, perché non mettere una rete così da non far passare altri possibili proprietari?
Tanto è bastato a scatenare il dibattito.

Le ragioni del sì. Allo Stato servono soldi e con questa proposta ne entrerebbero parecchi. Le attuali concessioni garantiscono all’Erario introiti per appena 130 milioni di euro l’anno. Dall’altra parte, c’è un buco di 2 miliardi e mezzo da ripianare.
A loro volta i bagnini potrebbero diventare a tutti gli effetti proprietari di quella parte di spiaggia su cui investono, in alcuni casi, da generazioni. Loro stessi si sono detti pronti a comprare, capitanati da Giorgio Mussoni, presidente di Oasi Confartigianato, la categoria più rappresentativa a livello locale. Secondo lui la proposta di Baretta è “l’unica via percorribile. È vero che il terreno demaniale è pubblico, ma grazie a una legge dello Stato sono stati costruiti manufatti privati come cabine e chioschi. Non si possono cancellare perché è l’Europa a deciderlo!”. E, ancora: “L’importante è la destinazione del territorio, non chi ne è proprietario. Perché ai Comuni lo Stato può vendere, come accaduto da Bellaria a Cattolica, e ai privati no?”.
Una conseguenza positiva sarebbe poi il rapporto con le banche. Secondo Marco Mussoni di Cna Balneatori Rimini, “il fatto di possedere una parte di spiaggia può essere un elemento a favore importante nella concessione di credito per eventuali ristrutturazioni”.
Tra i parlamentari riminesi plaude alla proposta Baretta l’On. Sergio Pizzolante (Pdl): “Dobbiamo dare una risposta seria a 30mila imprese balneari (100mila addetti, ndr.) far ripartire investimenti e innovazione”.

Sì, ma con riserva. Per la prima volta le categorie (Oasi Confartigianato, Sib-Confcommercio, Fiba Confesercenti, Cna Balneatori e Assobalneari-Confindustria) hanno firmato un documento condiviso in occasione del SUN di Rimini Fiera per mettere nero su bianco al governo alcuni paletti. “Siamo moderatamente ottimisti – specifica Riccardo Borgo di Sib -,ma molto cauti. Le aree che andrebbero sdemanializzate sono quelle che da tempo ormai non possono essere più considerate spiaggia perché occupate da quelle strutture e attrezzature che consentono di fare l’attività”.
Vendita o non vendita, per Marco Mussoni (Cna Balneatori Rimini) la prima emergenza resta la proroga delle concessioni attuali dal 2015 al 2020. “È vero che con il governo Monti è stato emanato un provvedimento, ma l’Europa non ha mai detto di sì. Quindi va inserito nella legge di stabilità (entro dicembre) il problema dei maxi canoni”. Forti gli squilibri tra canoni tradizionali (molti chioschisti riminesi di spiaggia pagano tra i 400 e i 600 euro, per i bagnini si va dai 1.000 ai 10-12mila euro) e canoni pertinenziali che riguardano strutture di difficile rimozione (con casi di concessionari che da 2000 euro annui hanno subìto un incremento a 79mila euro). 250 le imprese interessate in Italia, 40 in Romagna, 15 nel comune di Rimini.
Ma entrando nel merito della proposta Baretta, che dire? “Aspettiamo di conoscere i dettagli, – prosegue Mussoni – a quali prezzi si venderà? Con quali modalità? Chi deciderà: lo Stato, i Comuni o le Regioni? La soluzione migliore sarebbe arrivare al federalismo demaniale e far sì che siano i Comuni a vendere e riscuotere per poi dare una parte allo Stato”.
I paletti proseguono: “Dovrà essere il governo ad andare in Europa a trattare, non noi – prosegue Mussoni – e, soprattutto, nella vendita delle superfici sdemanializzate dovrà essere assicurata l’opzione a favore degli attuali concessionari, senza passaggi intermedi tra Stato e concessionario”. Altra richiesta: i criteri di individuazione delle aree da sdemanializzare dovranno essere tali da consentire a tutte le imprese di potervi rientrare e la componente sindacale dovrà partecipare all’intera operazione.

Le ragioni del no. Dall’altra parte della barricata si alza il coro dei no. A livello locale è la posizione dei parlamentari riminesi Pd Emma Petitti e Tiziano Arlotti, dell’assessore regionale al Turismo Maurizio Melucci, del presidente della Provincia Stefano Vitali e del sindaco di Rimini Andrea Gnassi. Perché la ricetta Baretta non convince? Il coro è unanime: le aste non possono essere evitate.
L’assegnazione di un bene pubblico senza un bando innescherebbe dei contenziosi” commenta Gnassi. “Occorre trattare con l’Unione europea affinchè venga riconosciuta la tipicità dell’offerta balneare italiana. Eventuali aste avvantaggiano solo i grandi gruppi internazionali”.
Concorda Melucci: “La spiaggia deve restare pubblica”. Rincara la dose Vitali: “Privatizzare l’arenile non stimolerebbe più alcun investimento”.
Sulla proposta Baretta la posizione del Pd a livello nazionale è spaccata. “Abbiamo situazioni diverse. Le coste italiane non sono tutte uguali. Dobbiamo salvaguardare le spiagge come patrimonio pubblico, ma anche tutelare e valorizzare contemporaneamente le specificità e peculiarità delle gestioni attuali dei nostri arenili” commenta l’On. Petitti. “L’obiettivo finale è riorganizzare la materia demaniale e con la legge di stabilità fare una proroga per i canoni pertinenziali e dare delega al governo per una legge quadro. Dalla Bolkenstein non si esce”. Per la deputata riminese “ci sono le condizioni tecniche per raggiungere entrambi gli obiettivi. Come sollecitato anche dall’Anci, serve una concertazione stretta con la Conferenza Stato Regioni e con gli Enti locali per arrivare ad una proposta condivisa che permetta di dare attuazione al federalismo demaniale, e quindi passare le competenze dallo Stato alle Regioni e Comuni”. Quindi, “serve una legge quadro nazionale che definisca il rinnovo delle concessioni e stabilisca le modalità di alienazione laddove le Regioni in accordo coi Comuni pensino di ’sdemanializzare’ una parte del patrimonio.
Tutto questo passa attraverso un confronto vero con l’Europa, con cui dobbiamo iniziare subito a trattare
”.
Ma quale soluzione concreta inserire nella legge quadro? “Alle spalle abbiamo già dai tempi del governo Berlusconi, col ministro Fitto, una proposta vicina all’accordo di evidenza pubblica che avrebbe premiato gli attuali gestori riconoscendone la funzione di interesse pubblico per quanto riguarda la gestione dei servizi collettivi: salvamento, pulizia degli arenili anche nei mesi invernali, difesa della costa e garanzia dell’ordine della sicurezza”.
Il maremoto “Baretta” continua a sollevare il dibattito.

Alessandra Leardini