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Sognando una Juventus di sabbia

Il beach soccer, in italiano calcio da spiaggia, è uno sport derivato dal gioco del calcio e ad esso molto simile, con la differenza sostanziale che è giocato sulla sabbia. In voga da parecchio tempo fu però riconosciuto dalla Fifa solo nel 2000 e si diffuse, perciò, ben presto in molti paesi con campionati nazionali, internazionali e del mondo (nel 2011 si svolse anche in Italia, a Marina di Ravenna) in cui eccelse quasi sempre il Brasile, anche se l’Italia ottenne discreti piazzamenti.
Attualmente lo sport, che è molto spettacolare, è in gran voga sulle spiagge predisposte, anche romagnole, ed attira continuamente sponsor e tifosi, con un aumento di squadre partecipanti e di atleti di un certo valore.

Quando ero
calciatore…
Tuttavia anche in anni non recenti, parlo dal secondo decennio degli anni ’50, già si praticava a Viserbella il calcio sulla spiaggia: di questo vi voglio raccontare, ricordando e guardando vecchie fotografie, in bianco e nero che mi riportano alla prima esperienza di calciatore, di quel periodo, preludio a quella passione calcistica che mi condusse, poi negli anni, a intraprendere l’attività di arbitro della Figc e di organizzatore di tornei calcistici a Viserbella, come ho già raccontato in un articolo pubblicato tempo fa. In una delle foto apparse in quell’occasione appare sullo sfondo la mia casa (Villa Sturani) e davanti il campo che non poteva che essere la piazza Calboli, all’epoca mezza asfaltata con la ghiaia, detta bressino, che non era di certo amica delle ginocchia dei giovani ragazzini calciatori, spesso sbucciate e sanguinanti. Facevo parte della squadra del Viserbella Centro (nella foto alcuni componenti) mentre le altre squadre della città erano: Viserba Nord e Viserbella zona Orti, perché forte era la passione per la sfera di cuoio in noi tutti ragazzini, assai numerosi, dai dieci ai quattordici anni!

Un campionato
speciale

Avevamo organizzato infatti un campionato in piena regola, tra questi tre rioni con incontri di andata e ritorno. Tuttavia, poiché il nostro campo principale (la piazza De Calboli) spesso era invaso da troppe auto parcheggiate o in passaggio, non poteva contenere tutta quella torma di ragazzini, a parte il fatto che le vetrine dei negozi della Tonina della Rocca e di Ado e Agnese Zavatta, posizionate dietro le porte, erano in grave pericolo di rotture. Ci spostavamo spesso a giocare sulla spiaggia, zona più ampia e tranquilla: il nostro campo era situato nel tratto che andava dall’allora albergo Belvedere situato su via Porto Palos, verso nord, al bar Cooperativa dei pescatori, per un tratto di un centinaio di metri di lunghezza e di una trentina di larghezza. Quella volta, infatti, la nostra spiaggia era vasta e il mare non aveva ancora iniziato la sua opera di erosione! Naturalmente il torneo si svolgerà tra ottobre e aprile, quando, senza turisti, la spiaggia era deserta, tutta per noi. Talvolta il nostro terreno verde era in prossimità della famosa Torretta, ove vi era un altro spazio sempre di spiaggia, oppure di fianco all’Hotel Helvetia verso sud o nel campo di Campogrande più spostato a nord, o verso la fine di Torre Pedrera in un rettangolo di gioco (si fa per dire) ora occupato dagli alberghi Mosè e Punta Nord. Ritornando al beach soccer di allora. Ricordo che ci si sfidava di solito di sabato o di domenica pomeriggio in partite interminabili con un immane fatica. Giocare sulla sabbia, anziché sul prato e tutt’altra cosa (provare per credere)… a parte i rimbalzi fasulli, i polveroni, la sfera di cuoco con le cuciture che faceva fatica ad andare avanti!
Ricordo che arbitrava Ermanno Riva, un ragazzo un po’ più grande di noi, con il sui bravo fischietto. Risento le urla e i “passa” e rivedo tanti volti: da Rolando De Luigi ad Antoio Zagnini; da Bruno Frisoni a Mauro Perazzini; da Leo Vittori a Giulio ed Erio Mussoni; da Marino Donati a Maurizio Mangianti; da Amerigo Lisi e tanti altri…perché non c’erano limitazioni.

Si giocava sinché
non si diceva “basta”
Chi voleva poteva giocare per cui le formazioni comprendevano anche ben più degli undici giocatori regolamentari! Le partite finivano con risultati roboanti tipo 5 a 10 e giù di lì, e i goal venivano spesso contestati perché al posto delle regolari porte di legno (che non avevamo) ponevamo dei mucchietti di sabbia, con sopra i nostri giubbotti, uno a destra e uno a sinistra per delimitare lo spazio della porta. La partita, che di solito aveva un piccolo intervallo, terminava per stanchezza, quando diversi giocatori sudati e impiastricciati di sabbia dicevano: “basta”.
A quell’epoca non avevamo neanche maglie distintive quindi riconoscere il proprio compagno o l’avversario era molto difficile con le inevitabili confusioni e i rimproveri vicendevoli per i passaggi all’avversario anziché al compagno! C’erano anche degli imprevisti, soprattutto quando il pallone di cuoio numero 5 (quello con le stringhe) finiva sull’adiacente via Porto Palos irritando i tranquilli automobilisti che vedendosi la sfera di cuoio, come per incanto, tra le ruote o sul vetro anteriore, facevano frenate secche congiunte a inevitabili e, a dir poco, furibondi rimproveri.
A volte poi il pallone finiva, dopo una respinta del portiere, oppure un tiro un po’ troppo violento in mezzo all’acqua del mare! Ed allora c’era sempre, tra di noi, il più coraggioso che s’immergeva fino alla cintola per salvare quel prezioso strumento che la corrente ci stava portando via! E, finita la gara con un “arrivederci alla prossima sfida”, ci si ristorava con l’acqua dei rubinetti in spiaggia e con i lupini, le noccioline, le brustoline e i croccanti della Cina che, all’epoca, girava la domenica pomeriggio per il paese, vendendo questi suoi prodotti. Ci si divertiva con poco ed in modo spensierato ed ognuno aveva un sogno nel cassetto: quello di diventare un famoso calciatore alla cote dell’Inter, del Milan o della Juventus!

Enrico Morolli