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Sette anni in una parola

Un punto di arrivo, una tappa importante del magistero di Papa Francesco, dove la parola chiave è fraternità”.

Così Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, definisce la Fratelli tutti.

Nel quinto capitolo, dedicato alla “buona politica” – spiega l’economista, alla vigilia dell’evento “ The economy of Francesco”, in programma on line ad Assisi dal 16 al 21 novembre – il Papa critica sia i populismi che il neoliberismo. Il “ superparadosso” è che “ il mondo stesso degli affari si è reso conto della necessità di un’inversione di rotta. Oggi siamo nelle condizioni di poter fare quello che ci chiede il Papa, ma il problema è che manca la politica”.

Come definirebbe la terza enciclica di Papa Francesco?

“È un’enciclica di sistematizzazione del pensiero che Papa Francesco è andato elaborando e diffondendo in questi sette anni di pontificato, per portarlo a sistema in maniera approfondita. È un punto di arrivo, una tappa importante nel magistero di Papa Francesco, dove la parola chiave è fraternità.

Il Papa, infatti, parla sempre di fraternità, e non di fratellanza: si tratta di una precisazione necessaria, perché la fratellanza è un concetto tipico dell’Illuminismo, che la concepisce come qualcosa che viene dal basso, cioè è esigenza della specie umana, di vincoli di sangue o di un’etnia. La fraternità, invece, viene dall’alto, è il riconoscimento della paternità di Dio: siamo fratelli in quanto figli di un unico padre. Mentre la fratellanza, inoltre, è basata, per il suo funzionamento, sull’idea di mutuo aiuto, la fraternità poggia sulla reciprocità, che è un dare senza perdere, un prendere senza togliere.

Per il cristiano questo è importante: c’è reciprocità tra Dio e l’uomo, non scambio e neanche comando, e la libertà è assicurata: la salvezza cristiana viene offerta come dono, ma tocca a noi accoglierla o meno. È offerta e non imposta, ma se non l’accogliamo non ci salviamo”.

Una delle novità dell’enciclica è un intero capitolo, il quinto, dedicato alla “buona politica”.

“È tipico di Francesco, del suo realismo cristiano che non si limita a denunciare le cose che non vanno, ma va oltre per indicare cosa fare. Bisogna ripensare dai fondamenti l’agire politico: i rischi sono i vari populismi, che negli ultimi vent’anni hanno ripreso a circolare. Per il Papa, il populismo è pericoloso perché cancella la nozione di popolo e quindi mette in discussione la democrazia.

Nei populismi non esiste il popolo, esistono il leader e la massa.

Nell’enciclica, inoltre, Francesco critica le politiche neoliberiste. Molti confondono il liberalismo, che è una particolare filosofia politica, con il liberismo, che invece è una teoria economica. Si può essere liberali, ma non liberisti, come ad esempio è stato il grande Keynes. Il Papa sa bene la differenza tra liberalismo e liberismo, e per questo critica il neoliberismo – come aveva già fatto nell’Evangelii gaudium – perché basato sulla teoria dello sgocciolamento: c’è una marea che sale e solleva tutte le barche. Il Papa dice che è falso, ed ha ragione: alcune barche rimangono impigliate al fondo, rimangono sommerse.

Sempre in ambito politico, Francesco riprende da Aristotele il concetto di “ amicizia sociale”: nei nostri dibattiti politici, al contrario – basti pensare al primo dibattito televisivo tra Trump e Biden – prevale troppo spesso il “ negative politics”, cioè il cercare il consenso, anziché avanzando le proprie ragioni, denigrando o criticando aprioristicamente l’altro, e ciò non favorisce la costruzione del bene comune.

Nella “ Fratelli tutti” il Papa torna a parlare della necessità di superare il “paradigma tecnocratico”: si può iniettare una dose di “amicizia sociale” in un mondo, come quello economico e finanziario, dove tale paradigma è dominante?

“È uno dei punti qualificanti della “ Laudato sì”, ancora non pienamente compreso neanche dal mondo cattolico. La sostenibilità, raccomanda il Papa, deve essere sociale, economica, ambientale ma anche antropologica. Nessuno parla di quest’ultima dimensione: se ci si limita solo alle altre tre, la “ sostenibilità umana” viene meno e si annulla la libertà dell’uomo. In una società tecnocratica, le decisioni vengono prese da algoritmi e da robot. La società digitale, come scrive Francesco, è un rischio: vogliamo progredire grazie alla tecnologia, ma non vogliamo diventarne servi”.

Per superare quella che già nella Laudato sì aveva definito “ inequità planetaria”, secondo il Papa bisogna “ sognare e pensare un’altra umanità”. Qual è la ricetta per il mondo dell’economia, alla vigilia di un evento importante come “ The economy of Francesco”, in programma il 15 ottobre?

“Oggi assistiamo ad un super paradosso: a chiedere l’inversione di rotta auspicata da Francesco sono gli stessi grandi manager e corporation. Ciò che fa difetto è la politica, perché le decisioni che riguardano la riscrittura delle regole del gioco non le decidono i manager, ma i Paesi e i governi. I primi a chiedere che le regole del gioco cambino sono i grossi esponenti del mondo economico e finanziario, che però non hanno il potere formale di farlo. Fino a pochi decenni fa, era vero il contrario. Questo vuol dire che il mondo stesso degli affari si è reso conto della necessità dell’inversione di rotta.

Oggi siamo nelle condizioni di poter fare quello che ci chiede il Papa, ma il problema è che manca la volontà politica. Per realizzare questo ed altri obiettivi, come scrive il Papa nella “ Fratelli tutti”, è necessario anche il concorso dei corpi intermedi, regolati dall’articolo 3 della nostra Costituzione: le associazioni, il terzo settore, il mondo del volontariato”.

M. Michela Nicolais