Una scatola di scarpe, qualche anello per tende e una manciata di biglie in plastica da spiaggia diventano un giocattolo utile per imparare le prime forme geometriche. E che dire di uno di quei contenitori plastificati per uova che solitamente finiscono nella spazzatura? Se rovesciato e abbinato ad un coperchio di una vecchia scatola di cartone, può trasformarsi come per magia in una scacchiera per far rotolare piccole palline di gomma e favorire così il gioco indipendente e l’abilità motoria. Sono solo due degli oltre cinquanta giochi ideati e realizzati negli ultimi tre anni da Roberta Fronzoni, insegnante di sostegno alla scuola comunale per l’infanzia “Torconca” di Cattolica. Si sa, in tempi di spending review, anche le scuole devono arrangiarsi come possono con il materiale ludico e didattico, ma quello che di speciale hanno in comune questi giochi, non è solo il riutilizzo di materiali di scarto e recupero. A partire da queste invenzioni Roberta ha studiato un percorso formativo personalizzato per Omar (nome di fantasia), un bambino con una grave forma di autismo.
Con questi giochi, pensati e progettati secondo le linee di apprendimento di Maria Montessori, a partire dai bisogni e dagli interessi dell’alunno, Omar ha potuto acquisire giorno dopo giorno piccole grandi autonomie, imparando a riconoscere e differenziare colori e oggetti attraverso il canale didattico ed educativo più universale che ci sia: il gioco. Così “le torri” (due aste e un cubo di legno) “il tris” (una scatola, una vaschetta per gelato, sei bicchieri di plastica e altrettante bottigliette di yogurt da bere riempite con diversi materiali per differenziare il peso) e “metti la palla” (un contenitore di plastica assemblato ad un barattolo di latta con coperchio forato) hanno aiutato questo alunno con “bisogni speciali” a coordinare vista e tatto. Altri giochi come “conchiglie sonanti” o “tenda tattile” sono stati studiati per favorire la sua percezione sensoriale oppure, come nel caso di “note di colore” (tubo di cartone, bottiglie di plastica e carta crespa da sciogliere in acqua per colorarla) per allenare l’occhio a distinguere tra le varie tinte.
“Quando ho iniziato a rapportarmi a lui, all’inizio del primo anno di scuola dell’infanzia – ricorda Roberta – Omar mostrava un atteggiamento perlopiù aggressivo e solitario. Sembrava non esserci un modo efficace per farlo interagire con il resto della classe né per proporgli attività ludico-didattiche. Il suo sguardo era spesso sfuggente come accade nei bambini con disturbo autistico con modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. Mi sono subito chiesta cosa avrei potuto fare per aiutarlo ad uscire dall’isolamento, ma soprattutto per farlo giocare, perché il gioco è da sempre lo strumento di libera espressione per eccellenza ”. Tuttavia, proporre a Omar i giochi tipici dei suoi coetanei, rischiava di innescare un ulteriore elemento di divisione tra lui e gli altri compagni, mettendo più in luce i suoi limiti che non le sue risorse. Da qui l’idea, maturata dall’insegnante, in seguito ad un corso di specializzazione sui bambini autistici, di pensare a dei giochi originali, che potessero valorizzare gli interessi di questo bambino.
Ma come reperirli? “ La scuola ha sempre meno risorse economiche, così ho pensato insieme alle altre insegnanti della sezione di costruire io stessa dei giocattoli con materiali di scarto e di recupero ”. Attività ricche di stimoli visivi e percettivi, da svolgere a più riprese, che hanno dato a Omar la possibilità di entrare in contatto con il mondo esterno, di esplorare capacità prima nascoste, di interagire in una prima fase con la sua insegnante e, successivamente, anche con il resto della classe. Già, perché man mano che lui scopriva un nuovo mondo, accettava di stare fermo, di sedersi composto, di rispettare i turni ed ascoltare, i suoi compagni venivano affascinati dai suoi giochi e iniziavano a chiedere di poter giocare con quegli stessi materiali. “ Gradualmente queste attività sono diventate un prezioso strumento di interazione – spiega la coordinatrice pedagogica comunale Valeria Dellabilancia -. Questa è la nostra idea di scuola inclusiva: un contesto che favorisca l’integrazione e modifichi le proposte di gioco e l’ambiente al fine di rispondere in modo adeguato ai bisogni di tutti i bambini ”.
“ Omar ha imparato a classificare, discriminare, imitare, incrociare lo sguardo degli altri bambini, a mangiare con il cucchiaio e la forchetta, mentre prima lo faceva solo con le mani, ma soprattutto ha imparato anche ad esprimere le emozioni positive con un abbraccio. Anche i suoi genitori sono fieri del lavoro che abbiamo svolto insieme!” conclude l’insegnante. “È stato un percorso molto difficile, ma tutte le fatiche di questi tre anni sono ripagate dai risultati e dalle soddisfazioni che oggi Omar ci regala”. Il prossimo anno per questo bambino di Cattolica comincerà una nuova avventura “senza barriere” alla scuola primaria. Con lui non ci sarà più Roberta, ma un’altra insegnante di sostegno. Nel frattempo, gli strumenti di lavoro realizzati per accompagnare Omar in questi anni, diventeranno un manuale per il sostegno ai bambini con disturbi autistici rivolto alle scuole dell’infanzia. Perché il gioco sia anche nei fatti un diritto di tutti.
Alessandra Leardini