Home Vita della chiesa Se la politica è sporca i cattolici non devono fuggire, anzi…

Se la politica è sporca i cattolici non devono fuggire, anzi…

La politica via della carità, oggi in Italia” è il tema scelto per il tradizionale incontro prenatalizio che il Vescovo ha con le persone impegnate nell’ambito sociale e politico. Per parlare di questo tema è stato invitato il prof. Giuseppe Savagnone (nella foto), autore del libro I Cattolici e la politica oggi, pubblicato a giugno. Al termine dell’incontro l’abbiamo intervistato.

La pretesa della Chiesa di rivolgersi agli uomini – specialmente a coloro che hanno responsabilità politica e civile – con il proprio linguaggio e la propria proposta può suonare sospetta e paternalistica, o comunque non richiesta e non giustificata da un’effettiva esigenza dei destinatari.
“Oggi in Italia, la situazione della politica è tale da non dare luogo a questo possibile equivoco. Mai come in questo momento storico la politica, infatti, è stata segnata da una crisi profonda, che ha colpito i partiti tradizionali e mette in crisi la politica come tale, determinando un distacco della gente dai partiti. Mai come oggi la politica è stata alle prese con l’anti-politica in tutte le sue forme“.

Fra le cause di questo distacco, fino al disprezzo, dalla politica, c’è certamente l’ondata di scandali che sta segnando il naufragio della Seconda Repubblica…
“I tempi di Tangentopoli sembrano essere tornati, con l’aggravante che allora spesso si rubava allo Stato per finanziare il proprio partito, oggi si ruba al proprio partito per finanziare le proprie vacanze, le proprie ville, etc. Ma la politica è colpita oggi da un male ancora più radicale, che questa volta non riguarda soltanto il nostro Paese, e che è la sempre più evidente subordinazione all’economia e, tramite essa, alla finanza”.

Si avverte anche una forte mancanza di idee, di progetti.
“Da molti anni non ci sono più utopie in circolazione. Non ci sono più pensieri originali, affascinanti. La politica affoga nella banalità di luoghi comuni. A farla ormai, non sono le idee, ma i personaggi più o meno pittoreschi che dominano i mezzi di comunicazione. E ai giovani non si propone nulla che possa suscitare la loro passione, con la prospettiva di cambiare l’esistente, il «sistema», come si diceva nel sessantotto, ma solo la vaga promessa (sempre rinviata) di potersi prima o poi anche loro sedere al banchetto delle opportunità dove i loro padri stanno finendo di consumare tutto ciò che era consumabile”.

Qualcuno dice che questa è la conseguenza, per certi versi positivi, della fine delle ideologie.
“Ma siamo così sicuri che le ideologie siano finite? In realtà una è rimasta, ed il suo dominio è tirannico e indiscusso. Questa ideologia «tardo-liberale», ha una sua faccia nobile, che è quella dei diritti. Da questo punto di vista, nessuno vuole tornare indietro. Ma ne ha anche una devastante per la vita associata, che nasce dalla automatica trasformazione delle pulsioni in desideri, dei desideri in bisogni, dei bisogni in pretese e delle pretese in diritti, alla cui ombra fiorisce un individualismo selvaggio, irresponsabile verso gli altri e verso la comunità”

Chi ha fatto sua questa logica?
“A questa logica hanno aderito fin dall’inizio coloro che esaltavano la libertà (Casa delle libertà) interpretandola in primo luogo come «libertà da». Da qui misure favorevoli ad alcuni, ma dannose, come la depenalizzazione del falso in bilancio; da qui lo slogan per cui non bisognava «metter le mani nelle tasche degli italiani», si intende di coloro che le avevano piene di soldi.
Ma a questa stessa logica ha finito per aderire anche una sinistra, orfana del marxismo, che si è sempre più allineata su una posizione zapaterista, il cui vero contenuto non è la difesa delle classi più deboli e dei diritti sociali, ma dei diritti civili. A cominciare da quello di abortire a finire a quello di disporre della propria morte. Col risultato che, davanti a situazioni che vistosamente mettevano in luce la debolezza, anzi l’inaccettabilità, di questa logica, l’opposizione si è trovata in serio imbarazzo a giustificare la propria protesta, perché, se si è gridato per anni «l’utero è mio e ne faccio quello che voglio», diventa difficile chi, non avendo l’utero, fa però quello che vuole di altre parti del suo corpo”.

Lei propone un intervento diretto dei cattolici che non si limiti a supportare questa o quella scelta fatta da altri, ma che porti l’impronta della loro creatività?
“I cattolici hanno avuto una parte importante nella nascita e nella storia della nostra vicenda repubblicana. Ma perché il «ritorno» dei cattolici sulla scena pubblica in qualità di protagonisti sia plausibile, manca l’atto penitenziale che in ogni buona liturgia – e anche l’impegno nel mondo lo è – deve iniziare la celebrazione. Perché in questi anni noi c’eravamo. E abbiamo peccato anche noi in pensieri, parole, opere e soprattutto omissioni! Non per masochismo o complessi di inferiorità, ma per capire in che cosa dobbiamo cambiare”.

Che cosa deve cambiare?
“La prima cosa è probabilmente l’approccio. Da troppi anni si ha l’impressione che i cattolici più che alla politica pensino al volontariato e in generale al terzo settore. Sembrano tornati i tempi dell’esordio del movimento cattolico in Italia, quando, con l’Opera dei Congressi, i cattolici svilupparono una vastissima presenza nel sociale, restando rigorosamente estranei alla sfera politica vera e propria. Oggi non c’è più il non expedit a giustificare questa lontananza, ma il clima è tale che la politica appare una dimensione estranea e sospetta alle nostre comunità ecclesiali. Non se ne parla in chiesa e si lascia che di fatto i credenti facciano le loro scelte guidati da Repubblica, da il Giornale o dalla televisione, come se la fine del partito unico dei cattolici significasse anche l’irrilevanza della sfera politica per la fede. Viene meno così la possibilità di un confronto, anche conflittuale, ma fecondo, tra le diverse posizioni, alla luce del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa. Incapaci di parlare delle loro scelte dentro il tempio, i cattolici litigano fuori di esso, ma non riescono mai a dialogare.
In questa situazione la sola voce che è risuonata in questi anni con una precisa intonazione cattolica è stata quella dei vescovi, in un impegno di supplenza che, oltre a delegittimare i laici cristiani, è però logorante e problematico in linea di principio”.
Il tema si fa di grande interesse ed il dialogo con il prof. Savagnone si svilupperà ancora a lungo. Ai lettori l’invito a continuarlo la prossima settimana. (re)