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Se Dante sale in cattedra

Intervista. Insegnare religione con il Sommo Poeta. L’esperienza innovativa di Fabrizio Fabbri

Docente di religione di lungo corso, scrittore, appassionato cultore di Dante e già collaboratore de “ilPonte” e di altre testate, Fabrizio Fabbri – originario di Santarcangelo – ha appena pubblicato con Il Cerchio un volume che racconta una proposta didattica originale: insegnare la religione cattolica attraverso la Divina Commedia. Non una lettura “classica”, né un esercizio filologico, ma un percorso teologico e spirituale pensato per accompagnare adolescenti, educatori, insegnanti e chiunque desideri conoscere Cristo attraverso la poesia. Ne parliamo con lui in questa intervista.

Il tuo ultimo libro nasce da un’esperienza concreta: come si è sviluppata?

“Negli ultimi sei anni ho portato avanti un’idea che mi ha profondamente coinvolto: spiegare Dante nelle ore di religione. Ma non una lettura simbolica o moraleggiante, bensì una spiegazione verso per verso, parola per parola, evidenziando la densità filosofica e teologica dei canti, sempre con grande attenzione al magistero della Chiesa.

Questa intuizione è nata dal mio percorso personale: un amore profondo per la verità e per la bellezza, che ho sempre cercato di coltivare insieme. Dopo studi classici e filosofici, e una vita centrata sulla fede, nel 2015 ho ripreso a leggere Dante con nuova intensità. Ed è stato come riscoprire un amico e un maestro.

Da lì, con il confronto di una collega di lettere del liceo Curie di Savignano, è nata l’idea di far dialogare religione e letteratura, fede e poesia. E Dante, il poeta- teologo per eccellenza, era il ponte perfetto”.

Facciamo un passo indietro, allora. Come nasce il tuo amore per Dante, e in particolare per la sua dimensione teologica?

“Sono sempre stato attratto dal vero. In me questa inclinazione è così forte da costituire una vera e propria vocazione. L’ho seguita sin da giovane, approfondendo la filosofia, la teologia e poi – con il tempo – riscoprendo la bellezza di Dante.

All’università ho scelto di laurearmi su Hans Urs von Balthasar, teologo della «Gloria», cioè della bellezza divina che si rivela. Ho poi approfondito il pensiero dei grandi neotomisti francesi come Maritain, Gilson, e soprattutto Garrigou-Lagrange, teorico del «senso del mistero».

Quando sono tornato a Dante, dopo trent’anni, ho capito che lì si univano in modo miracoloso verità e bellezza: verum et pulchrum. Ho ritrovato un Dante profondamente cattolico, capace di esprimere con un’arte sublime i contenuti centrali della fede. E da allora non ho più smesso di leggerlo, studiarlo e insegnarlo”.

Quali canti hai scelto di approfondire con gli studenti e perché?

“Ho iniziato con alcuni canti del-Paradiso che affrontano grandi temi della dottrina cattolica: il VII sull’Incarnazione redentrice, il XIV sulla resurrezione dei corpi, il XXX sulla visione dell’Empireo, e naturalmente il XXXIII, con la preghiera di san Bernardo e la visione finale di Dio e del Cristo.

Ho poi aggiunto i canti delle virtù teologali (XXIV, XXV, XXVI), centrali per la vita cristiana, e alcuni del Purgatorio (come il III e il V) che colpiscono gli studenti per la forza della misericordia di Dio, capace di salvare anche nei momenti estremi. Con questi testi, Dante diventa uno strumento per parlare dei «nodi» della fede: l’Incarnazione, la grazia, la salvezza, la resurrezione, la Trinità, la carità. Tutto spiegato con parole poetiche, ma pienamente ortodosse, che hanno riconosciuto anche papi come Benedetto XV, Paolo VI e Francesco”.

Che metodo hai usato per rendere accessibili questi canti agli studenti delle superiori?

“Il primo passo è sempre stato la chiarezza. Non si può trasmettere Dante senza conoscere a fondo la dottrina cattolica. Spiego i versi parola per parola, e fornisco agli studenti schemi teologici su concetti come Trinità,

persona, grazia, peccato, escatologia… Questo li aiuta ad entrare nella profondità del testo, senza restare alla superficie. E poi c’è la passione. Quando leggo Dante, lo vivo con tutto me stesso. Gli studenti vedono che provo commozione, entusiasmo, stupore. E questo li coinvolge. Il cuore si accende solo se chi parla è acceso.

Mi appoggio a commentatori solidi come Chiavacci Leonardi, Guardini, Nardi, Gilson. Ma non mi limito a ripetere: offro interpretazioni personali, nate da anni di riflessione e di insegnamento”.

Quali riscontri hai avuto in questi anni da parte degli alunni?

“Molti e positivi. Alcuni li ho riportati nel libro. I ragazzi hanno apprezzato non solo i contenuti, ma anche il modo in cui ho proposto Dante. Spesso durante le lezioni si creava un silenzio denso, carico di attenzione. Anche gli studenti dell’ITIS, che magari non sono «umanisti», reagivano con stupore e partecipazione. La bellezza non chiede titoli di studio: parla a tutti. Naturalmente non tutti hanno la stessa profondità o sensibilità, ma quando trovano un insegnante che crede in quello che dice, si fidano. E questo crea una relazione educativa forte”.

E i colleghi, come hanno accolto la tua proposta? La profesessoressa di Lettere, in particolare, non si è sentita… defraudata?

“La collega di lettere con cui tutto è cominciato, Veronica Crociani, ha sostenuto l’iniziativa con entusiasmo. Poi ho trovato apertura anche all’ITIS, dove i docenti hanno visto nei miei interventi un valore aggiunto, un arricchimento del percorso educativo. La chiave è il dialogo e il rispetto reciproco dei ruoli: non ci si sovrappone, si collabora”.

Perché hai deciso di trasformare questa esperienza in un libro?

“Per condividerla. Per mostrare che si può insegnare religione con serietà, profondità, passione. E perché Dante è uno strumento potentissimo, spesso poco valorizzato. Il libro non è un saggio accademico, ma un testo pensato per chi vuole spiegare il cristianesimo attraverso la poesia.

Vi si trovano commenti a 24 canti della Commedia, riflessioni teologiche, filosofiche, riferimenti al cinema, alla vita dei santi… È una proposta articolata, che nasce dalla scuola ma va oltre”.

Il tuo desiderio di condivisione va oltre la pubblicazione del libro. So che hai proposte per la diocesi di Rimini e per la Chiesa in generale.

“Lancio un appello: perché non creare nella nostra diocesi un Circolo Dantesco Cattolico? Un luogo di incontro, lettura, approfondimento. Penso a incontri settimanali, magari al Marvelli, dove chi ama Dante possa ritrovarsi per leggere e discutere insieme, alla luce della fede.

Invito anche l’Istituto di Scienze Superiori ‘Alberto Marvelli’ a prevedere un modulo su Dante nei percorsi formativi. E vorrei che nelle parrocchie, nei seminari, nei movimenti cattolici si riscoprisse il valore evangelizzatore della Commedia. Come dice Papa Francesco nella sua lettera Candor lucis aeternae, Dante può parlare ancora oggi a tutti: studenti, fedeli, cercatori di senso.

In definitiva, Dante è diventato parte integrante del tuo insegnamento della religione…

“Sì, ma non è l’unica via. Negli anni ho utilizzato anche il cinema e soprattutto le vite dei santi, che considero una forma altissima di bellezza cristiana. Ho scritto anche un altro libro, Didattica della santità, sempre edito dal Cerchio, con tre edizioni all’attivo. In esso racconto come ho insegnato la fede attraverso le figure di uomini e donne che hanno vissuto Cristo in modo straordinario.

Papa Benedetto XVI, a cui inviai la prima edizione, mi rispose con una lettera di benedizione e incoraggiamento. Ora, con questo nuovo

libro su Dante, ho unito la bellezza della poesia alla profondità della fede. È un altro volto della stessa missione: mostrare la verità con la forza della bellezza”.

Qual è, secondo te, la sfida più grande oggi nell’insegnare religione?

“Far capire che la religione non è una materia ‘accessoria’, ma un sapere fondativo. Viviamo in un tempo di frammentazione e disorientamento, eppure molti giovani sentono – spesso in modo confuso – il desiderio di una verità piena. Non dobbiamo ‘abbassare l’asticella’, ma semmai elevarla con empatia e passione.

L’insegnamento della religione non può essere ridotto a un’etica del rispetto o a una sociologia delle religioni. Deve tornare a essere annuncio, testimonianza, provocazione alla libertà. In questo senso Dante è esemplare: lui annuncia, denuncia, consola, guida. Non fa sconti, ma porta alla salvezza”.

Hai parlato più volte di “missione educativa”. In che senso lo è, per te?

“Per me insegnare è un atto d’amore. Non un mestiere qualsiasi, ma una vocazione. L’educazione è una forma di paternità spirituale. E oggi c’è un grande bisogno di maestri, cioè di adulti autorevoli, capaci di camminare insieme ai giovani con fermezza e tenerezza.

Ho cercato di incarnare questo stile: dire la verità con chiarezza, ma con cuore. Mai un approccio moralista o predicatorio, ma sempre appassionato, propositivo, rispettoso dei tempi dell’altro. La fede si trasmette per attrazione, non per imposizione”.

Che reazioni hai avuto da parte dei genitori o delle famiglie?

“Molti genitori mi hanno ringraziato per l’approccio che ho scelto: serio, rispettoso, stimolante. In alcuni casi mi hanno detto che i figli tornavano a casa colpiti dalle lezioni, desiderosi di parlare di ciò che avevano ascoltato. È successo, ad esempio, con il canto sul giudizio finale e sulla resurrezione dei corpi, o con quello sull’Incarnazione. Argomenti alti, eppure capaci di toccare corde profonde.

Un alunno, con il genitore accanto, in una giornata di udienze, mi disse di esser stato colpito dall’idea dantesca dello Spirito Santo come Persona che sorride.

Ecco, questo per me è già un frutto prezioso”.

Quali altri progetti hai in mente per il futuro?

“Sto già lavorando a un terzo libro, in cui vorrei intrecciare Dante, i santi e la cultura contemporanea. Penso che ci sia ancora molto da dire su come la fede possa dialogare con il mondo di oggi senza snaturarsi. Voglio continuare su questa linea: una fede pensata, vissuta e trasmessa con bellezza.

In parallelo, spero di poter portare questo percorso anche fuori dalla scuola: in parrocchie, associazioni culturali, corsi per adulti”.

Se potessi sintetizzare in una frase il tuo messaggio educativo, quale sarebbe?

“Nulla è più affascinante della verità quando viene detta con bellezza.” Questo è il mio motto. Ed è ciò che ho imparato da Dante, dai santi, dalla mia esperienza di insegnante.