Scuola: non è mai troppo tardi

    Una vecchia massima afferma che non si finisce mai di imparare. Un’altra dice che gli esami non finiscono mai. In ogni caso si evince che non è mai troppo tardi per apprendere qualcosa di nuovo o per colmare vecchie lacune. La maggior parte di noi conosce l’iter standard di studi, quello che parte con le scuole elementari, continua nelle medie inferiori e poi verso le superiori e magari in università, per guadagnare quello che una volta veniva definito, con terminologia quasi sacrale, il “pezzo di carta”, l’unica vera chiave capace di aprire le porte del lavoro. Oggi si sa che non è più così, che l’esperienza conta come il titolo di studio, se non di più, in quest’era affollata di laureati.
    Ma a questo percorso se ne affiancano molti altri. C’è chi da giovane non ha avuto l’opportunità di studiare, magari perché la famiglia ha avuto difficoltà o per necessità di lavoro, c’è chi ha lasciato perché non ne aveva più voglia, oppure c’è chi viene da lontano, da un mondo diverso e ha titoli di studio che in Italia non sono riconosciuti, o viene da zone rurali in cui la scuola è un obbligo su carta ma non lo è nella realtà. Insomma, ci sono molte persone che, arrivate all’età adulta, si accorgono che una buona istruzione può fare la differenza, e decidono così di rimediare alla mancanza di studio – o di recuperare il gap con una nuova cultura – in un centro di educazione per adulti.
    Di tutto questo si occupa il Centro Territoriale Permanente di Educazione degli Adulti, che fa capo alle scuole medie Bertola di Rimini da ormai più di 10 anni. È un piccolo pezzo di mondo davvero affascinante, attorno al quale gravitano quasi ottocento persone, di tutte le nazionalità ed etnie, che ripartono da qui per ricostruire un nuovo percorso. L’educazione di base è un diritto di tutti i cittadini e l’educazione continua costituisce la condizione indispensabile per inserirsi in un contesto sociale in continua evoluzione. Con queste parole si apre la pagina web dedicata al CTP del sito internet delle scuole Bertola (www.smsbertola.it). “Lo Stato – ci spiega la coordinatrice del centro, e preside delle scuole medie Bertola, Giuseppina Martinini – offre a tutti i cittadini che non hanno alcun titolo i corsi di scuola elementare e scuola media. È un servizio assolutamente gratuito. Cerchiamo anche di annullare la spesa dei libri, fornendo agli studenti le fotocopie e le dispense necessarie”.
    Tante storie si mescolano nelle aule che di giorno ospitano i ragazzi delle scuole medie. “Ci sono tanti ragazzi giovani – continua la Martinini – che magari hanno avuto degli incidenti di percorso, che sono stati bocciati più volte o che hanno cambiato residenza – ma ci sono anche tanti stranieri, che vengono qui per imparare l’italiano ed ottenere la licenza media”. Quest’ultimo è davvero un mondo variegato. Per molti, infatti, questo è il primo punto di partenza per imparare l’italiano. Qui si ritrovano cinesi appena arrivati, maghrebini, ucraini, sudamericani e altri. “Per ognuno cerchiamo di capire quale sia il grado di conoscenza della lingua italiana. Facciamo dei test, anche con l’ausilio di mediatori culturali che fanno da traduttori. Spesso, infatti, ci troviamo di fronte a situazioni disarmanti. Quest’anno abbiamo avuto anche alcuni cinesi della regione della Mongolia, che non parlano, quindi, il mandarino. Senza un traduttore è impensabile anche solo presentarsi. Poi organizziamo delle classi il più possibile omogenee, in modo che si possa insegnare più velocemente, e infine cominciano le lezioni”.
    Non bisogna pensare ad una scuola secondo i canoni classici. Chi deve imparare l’italiano da zero, non fa 5 anni di elementari. La licenza elementare la si ottiene in un anno, per i casi più difficili – cioè per culture e lingue molto lontane da quella italiana, come capita soprattutto per la lingua cinese o araba, che usa anche caratteri diversi da quelli latini – ma anche di pochi mesi di corso intensivo per chi invece è di un’area culturale prossima a quella italiana, come il Sud America o l’Est Europa. Diverso il discorso delle scuole medie, nelle quali si studia soprattutto italiano, storia, geografia, matematica e scienze, oltre ad una base di informatica e lingua straniera (che per molti è la propria lingua madre). Nel corso dell’ultimo anno scolastico – dall’autunno del 2008 – ci sono stati più di 800 iscritti. Oltre il 50% – circa 450 – sono iscritti al corso di alfabetizzazione, e sono per la quasi totalità stranieri. La voce, lentamente, si sparge. Tra le tante badanti di origine ucraina, il passaparola fa sì che molte decidano di iscriversi per diventare “qualcosa in più”, prendere la licenza di scuola media, e poi magari iscriversi ad un corso professionale per infermieri. Grazie alla conoscenza si migliorano le proprie prospettive sociali. Ma, dall’altra parte, a causa della complicata burocrazia internazionale c’è chi vede vanificati gli anni di studio. Come molti giovani, spesso dell’Europa dell’Est, soprattutto dalla Moldavia, che arrivano in Italia laureati ma non si vedono riconosciuto il titolo di studio e devono ricominciare da zero. “In questi casi – continua Giuseppina Martinini – il percorso è più facile. In un anno solo questi ragazzi, abituati allo studio, conseguono entrambe le licenze. Una per semestre”.
    Mentre per la licenza media si trovano anche molti italiani, per la maggior parte ragazzi tra i 16 e i 22 anni che recuperano gli anni persi. Per evitare di far perdere altro tempo a chi ne ha già perso parecchio, grazie alle convenzioni tra il Centro e le scuole della provincia, molti frequentano la mattina le normali scuole superiori, mentre il pomeriggio si preparano a sostenere l’esame di licenza media. Un servizio davvero lodevole, a cui si dedicano a tempo pieno 15 insegnanti di ruolo (5 per le elementari e 10 per le medie). Perché non c’è miglior modo di accogliere chi arriva da un luogo lontano, e porta con sé solo la sua esperienza, che offrire la propria cultura e le proprie conoscenze. E questo, bisognerebbe farlo studiare e ripassare anche a chi ha grandi titoli di studio, ma dimentica il valore dell’accoglienza.

    Stefano Rossini