Home Osservatorio Musicale Schumann e Goethe: simbiosi tra due geni

Schumann e Goethe: simbiosi tra due geni

A sinistra il coro di voci bianche - Ph ANSC©Musa

Nella stagione di Santa Cecilia una rarità come le Scene dal Faust di Schumann dirette da Harding 

ROMA, 14 aprile 2025 – Due ore di musica meravigliosa, dove sono incastonate le parole del Faust insieme alle potentissime immagini che evocano. Robert Schumann ha preferito organizzare la sua composizione attorno a frammenti di Goethe, anziché adattare alle proprie esigenze un testo che ammirava sommamente. Così, per le Szenen aus Goethes Faust ha estrapolato alcuni tra i passaggi più suggestivi di questo immortale capolavoro, affidandone la concatenazione alla musica. Tale approccio, peraltro, oggi appare vieppiù moderno: l’ascoltatore – sull’onda delle proprie esperienze culturali – viene lasciato libero di riflettere sulle suggestioni che scaturiscono dalle parole goethiane, al punto da costruirsi una personale drammaturgia emotiva. La partitura, poi, ha un organico imponente, con l’intervento di ‘solisti, coro, voci bianche e orchestra’: una scommessa per il cartellone dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e, certo, uno degli appuntamenti più impegnativi dell’intera stagione.

Il direttore Daniel Harding – Ph ANSC©Musa

Si tratta di un viaggio articolato in tre parti, in grado di suscitare innumerevoli riflessioni proprio in virtù del suo sviluppo non lineare: è vero che ci sono molte ellissi (la mancanza più vistosa resta quella del patto tra Faust e Mefistofele), ma la sensazione di un nastro che si riavvolge su se stesso è una preziosissima fonte di emozioni. Del resto un tale modo di procedere non rappresentava certo un problema in area tedesca, dove la profonda conoscenza di Goethe – ai tempi di Schumann, e per molte generazioni ancora – era del tutto scontata. Più difficile trovare la medesima empatia con il pubblico italiano, che con Goethe ha un approccio spesso veicolato dagli adattamenti operistici e non di prima mano: ma la forza espressiva della musica arriva anche là dove i riferimenti culturali sono altri.

Dopo la variegata Ouverture (scritta nel 1853, alla fine di un lungo itinerario compositivo iniziato nel 1844 e interrotto per le travagliate vicende di salute del musicista), inizia la prima parte, incentrata sulla figura di Margherita. Sono tre episodi soltanto, che delineano l’angoscia della fanciulla attanagliata dai sensi di colpa, cui l’espressivo soprano Christiane Karg ha saputo dar voce con accorata adesione emotiva. Accanto a lei due veterani: il baritono Christian Gerhaher che, nonostante una certa usura vocale, poteva contare sulla lunga esperienza di liederista che gli ha permesso di delineare un intenso Faust (nonché, nell’ultima parte, di dar voce al canto “concettuale” e trasumanante del Pater Seraphicus e del Doctor Marianus); e, a fargli da contraltare, il bassobaritono Falk Struckmann, un wagneriano doc anche lui dai mezzi un po’ inariditi, ma capace d’imprimere al suo Mefistofele sfumature ora suadenti ora sinistre.

La seconda parte è interamente incentrata sulla figura di Faust. Straniante l’incontro con Ariel (l’ottimo tenore Andrew Staples): esplicita reminiscenza shakespeariana, attraverso la quale Goethe intende creare un’oasi per alleggerire i tormenti del protagonista, fino alla conclusione segnata dalla sua morte. È però la terza parte, quella legata alla trasfigurazione di Faust, dove Schumann raggiunge i vertici più alti: a conferma che, esattamente al contrario di quanto avverrà nel Faust di Gounod, la dimensione speculativa gli stava assai più a cuore di quella narrativa.

Daniel Harding, sul podio, ha coordinato tutte le masse coinvolte con notevole precisione. La risposta migliore, più che dall’orchestra, è arrivata dal coro (preparato da Andrea Secchi), davvero in ottima forma, senza dimenticare l’eccellente contributo delle Voci bianche, istruite da Claudia Morelli. Ed è soprattutto grazie a loro che si sono raggiunti, nella serata all’Auditorium, i momenti di maggior incanto.

Giulia  Vannoni