Quelli della mia generazione se lo ricordano bene. Era il 9 novembre 1989 quando le autorità berlinesi annunciavano che si poteva oltrepassare il Muro. Una notte storica! 50.000 persone varcarono festose quello che oggi è il simbolo del crollo di ogni guerra.
Allo stesso modo, l’acclamazione del tre volte Santo nella Preghiera Eucaristica ci fa saltare il Muro e varcare la Porta del Cielo, quella che il peccato aveva sigillato e a cui il Signore aveva messo di guardia i cherubini e la fiamma della spada folgorante per custodire la via all’albero della vita (Gn 3,24).
Al canto del Santo, Santo, Santo, la voce dell’assemblea, infatti, si unisce alla voce delle creature celesti – spiega l’Ordo Generale del Messale Romano, 79b – cioè gli angeli e i santi, che celebrano, senza tempo e senza spazio, l’eterna liturgia celeste a Colui che siede in trono e all’Agnello, e che con noi cantano: «Santo, santo, santo, il Signore Dio, l’Onnipotente» (Ap 4,8).
Sì, al canto del Trisaghion (dal greco tris= tre e aghios= Santo) o Epinikion (dal gr. epi= sopra e niké=vittoria), cioè il canto di vittoria, Cielo e terra si incontrano e si spalancano l’uno all’altro; Chiesa celeste e Chiesa terrestre celebrano l’unica Liturgia! «Nella liturgia terrena – ci insegna infatti il Concilio – noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste, che viene celebrata nella santa Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini» (Sacrosanctum Concilium, 8).
Con quest’acclamazione, che addirittura costituisce un rito a sé stante all’interno della Preghiera eucaristica (OGMR 37a; 79) ed è ponte tra il Prefazio (di cui ne costituisce il culmine) e la discesa dello Spirito Santo (epiclesi), tutto il Popolo di Dio (in terra e in Paradiso!) loda la Santissima Trinità per l’opera della salvezza compiuta, realizzata in Cristo. Quel Cristo che venne da Betlemme fino a Gerusalemme, che ora sta per venire anche sull’altare e che un giorno verrà nella gloria, come canta la Chiesa celeste «Santo, santo, santo, il Signore Dio, l’Onnipotente. Colui che era, che è e che viene!» (Ap 4,8).
L’acclamazione del Santo ha la sua origine biblica nel canto dei serafini durante la visione che Isaia ebbe nel tempio: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria» (Is 6,3). Fu accolto tra le preghiere del mattino (Kedusha) della liturgia sinagogale e fa il suo ingresso nella Liturgia Eucaristica prima in Oriente (IV secolo) e poi in Occidente (V secolo), dove vede l’aggiunta del nome «Dio» e dei «cieli» rispetto a la sola «terra», per ampliare la prospettiva dal tempio di Gerusalemme (la terra in cui abitava la gloria di Dio) a tutta la creazione (cieli e terra).
È sempre stato cantato da tutto il popolo, almeno fino al Medioevo, quando inizia a diventare polifonico e dominio della sola schola (coro); il Concilio ha giustamente restituito questa acclamazione a tutta l’assemblea.
Nel VI secolo, in Occidente, è ampliatocon l’aggiunta del ritornello (Osanna) e della seconda parte (Benedetto colui che viene…), che si riferisce chiaramente a Cristo.
Ma vediamo nel dettaglio questo canto.
Santo, Santo, Santo: la triplice ripetizione vale a dire «Santissimo», un superlativo che la lingua ebraica non possiede e che riesce ad esprimere solo ripetendo 3 volte (il numero perfetto) l’aggettivo. La santità, inoltre, è l’attributo che solo Dio possiede e che nella sua bontà partecipa alle creature e, analogamente, alle cose.
Dio dell’universo traduce il «Signore degli eserciti» isaiano (Yahwé sabaoth), ossia il Signore delle schiere armate (quelle del suo popolo e quelle celesti, gli angeli). Con questa espressione si vuole indicare il dominio di Dio su tutto l’universo, che non è tanto come quello di un generale dell’esercito, ma di un Padre buono e provvidente. Si noti, inoltre, che in chiave cristiana, tra le creature celesti si devono annoverare anche i santi, cittadini della Chiesa celeste (indipendentemente dal fatto che la chiesa li abbia canonizzati o meno!).
I cieli e la terra… gloria: la gloria di Dio (kabod) è la manifestazione della sua santità, la sua percezione, che lo scrittore biblico indica in genere nella “nube luminosa” (Es 16,10; 40,34) e definitivamente nel Cristo, incarnato e trasfigurato sul Tabor e sulla croce (Gv 1,14; Mt 17; Gv 17,1).
Hosanna: come per l’Amen e l’Alleluia la liturgia ha preferito non tradurre questa acclamazione ebraica hosiyah-na>=salva!) di lode e di gioia, con cui le folle salutavano Gesù nella sua entrata a Gerusalemme (Mt 21,9).
Benedetto colui che viene…: la seconda parte del Santo continua il saluto della folla a Gesù. Nella liturgia è l’acclamazione al Veniente, colui che è venuto, che viene ora sull’altare e che verrà nella gloria.
E allora? Allora capita che in certe Messe il coro ti intona un Santo così complicato che è difficile per l’assemblea parteciparvi; d’altro canto, ti capita anche di incontrare assemblee mute al “solito” Santo. A Berlino il muro è crollato: quando crollerà anche quello tra Cielo e terra nelle nostre Liturgie? Che gli angeli e i nostri santi non debbano andare ogni domenica «A chi l’ha visto?» per celebrare con i loro fratelli!
Elisabetta Casadei