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Salute mentale: giovani tra tabù e pericoli

In aumento i comportamenti autolesionistici tra gli adolescenti, compresi i tentativi di suicidio. Accade anche a Rimini. L’analisi degli esperti

Non vedere soluzioni e gridare aiuto nei modi più diversi. Fino a non scorgere nessuna via d’uscita, se non il gesto più estremo di tutti. È questo, purtroppo, il vissuto di tanti, troppi giovani, che spesso arrivano anche a mettere in pratica questi pensieri. Tanto da creare un fenomeno da allarme rosso: tra i giovani l’autolesionismo è sempre più diffuso, con il suicidio che ad oggi rappresenta la seconda causa di morte.

Un problema profondo che interessa tutto il mondo, tanto che nelle prime settimane d’autunno il tema diventa di stretta attualità con la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, che proprio di recente ha permesso di scattare una fotografia più aggiornata del fenomeno.

In generale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, attualmente si tolgono la vita più di 700mila persone ogni anno, oltre 150mila in Europa, ovvero quasi 400 al giorno, di cui 4.000 ogni anno solo in Italia. Per quanto riguarda i giovani, è la principale causa di morte nella fascia di età compresa tra i 15 e i 29 anni, la seconda in Italia dopo gli incidenti stradali. Scatta una fotografia altrettanto allarmante Telefono Amico, il servizio nazionale anonimo e gratuito dedicato al sostegno emozionale e psicologico alle persone in difficoltà, segnalando che nel 2024 oltre 6.700 persone hanno chiesto supporto al servizio perché attraversate dal pensiero del suicidio, con 3.000 richieste di aiuto già pervenute nei primi sei mesi del 2025, facendo presagire un bilancio altrettanto grave anche quest’anno.

Ad allarmare in modo particolare è anche qui il mondo dei giovani, con le richieste d’aiuto a Telefono Amico che nelle fasce d’età più basse emergono maggioritarie in tutti gli strumenti messi a disposizione, tra numero telefonico, WhatsApp e email.

La situazione a Rimini

Un tema tanto drammatico quanto delicato, dunque. Che riguarda, purtroppo, anche Rimini. Ad approfondire il fenomeno sul nostro territorio gli specialisti riminesi Fabio Santarini e

Lisa Battelli, psichiatra e psicologa. Non abbiamo numeri assoluti in tal senso, – spiega il dottor Santarini perché non c’è una casistica numerica precisa, anche dovuta al contesto culturale che tende a mantenere certi argomenti in una ‘nebbia’ che non consente di avere un quadro esaustivo.

Quel che è certo è che negli ultimi anni assistiamo a un incremento dei problemi di disagio giovanile nel riminese, con un’impennata specifica cominciata nel periodo della pandemia. A essere interessata è soprattutto la fascia d’età compresa tra i 15 e i 25 anni, anche se si sta progressivamente abbassando. I disagi sono anche di tipo psichiatrico, con un importante aumento di situazioni di depressione o comportamenti impulsivi, con tratti anche violenti, che arrivano a fenomeni come disturbi alimentari, abuso di alcol e sostanze stupefacenti, fino ai tentativi di suicidio. Casi, questi ultimi, che vanno declinati in modi diversi: riscontriamo molti gesti autolesivi, solitamente tagli alle braccia o, meno di frequente, alle gambe, che sono tendenzialmente di tipo dimostrativo, la cui finalità è la richiesta di aiuto; ma vi sono anche veri e propri tentati suicidi, da distinguere dai mancati suicidi, ossia casi in cui il suicidio non si attua solo per pura casualità e per motivi che la persona non aveva previsto”. L’emergenza Covid, dunque, è stato un evento talmente macroscopico da provocare un’acutizzarsi dei casi. Il fenomeno, però, non nasce certo dalla pandemia: dove vanno rintracciate le cause di disagi di questo tipo? E come vengono seguiti i giovani che ne soffrono? “ Ciò che accomuna questi ragazzi e soprattutto le ragazze, che rappresentano la stragrande maggioranza dei casi, è in modo particolare il contesto familiare. – sottolinea la dottoressa Battelli Un ambiente in cui vi è privazione affettiva, difficoltà comunicativa o conflitto crea una situazione invalidante per i giovani, che così sentono di dover cercare le proprie risposte al di fuori del nucleo familiare. Ma in modo precoce, senza avere ancora gli strumenti necessari per farlo in modo consapevole. Questo spinge, nell’epoca di oggi, molti di loro a soddisfare i propri bisogni in contesti inadatti, ad esempio la rete e i social, che offrono modelli inarrivabili e che, di conseguenza, creano delusione e frustrazione. Oltre a generare problemi di isolamento e incapacità di pensiero complesso,

perché quello del web è un mondo in cui i concetti e le idee sono binari e polarizzanti. Infine, la forte necessità dei giovani di oggi di veder subito soddisfatti i propri desideri, dovuta anche alla società in cui vivono, impedisce loro di imparare la gestione dell’attesa, delle frustrazioni e dell’incertezza, e questo aggrava certi disagi.

Si tratta di scenari diversi e complessi, ma in generale per questi giovani sono previsti trattamenti intensivi e ambulatoriali, di tipo psicoterapeutico ma con l’aiuto di figure diverse, come infermieri o educatori, attivando quindi tutta una serie di risorse che non sono solo farmacologiche”.

Una prevenzione è possibile? “ Non è semplice, – sottolineano gli specialisti – perché parlare diffusamente di questi argomenti può essere un’arma a doppio taglio, ossia generare un rischio aumentato di emulazione. Come detto, gran parte di questi disagi nasce in ambiente familiare, quindi una vera prevenzione è possibile a partire da lì. E su questo, sulle famiglie, oggi ci sono due problematiche principali: da una parte un certo ‘giovanilismo’, ossia la tendenza dei genitori a essere amici dei figli, piuttosto che figure forti di riferimento; dall’altra, anche a causa di una certa barriera culturale che ancora esiste, c’è una certa ritrosia a riconoscere i problemi di salute mentale come tali in tempo utile, portando molto spesso a una diagnosi tardiva. Che, come per ogni tipo di patologia, rende più difficile il percorso di recupero della persona”.