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Romagna, rifugio del Sommo

IL POETA SUL TERRITORIO (2). Prosegue l’analisi del contesto e delle lotte politiche che portarono Dante all’esilio a Ravenna, fino alla sua morte

Per riconciliare la Romagna e riportarla all’obbedienza della Chiesa (C. Ghirardacci, 1596), il papa vi ha ripristinato la curia rettoriale provinciale.

Matteo d’Acquasparta nella sua missione in Romagna è aiutato da Malatestino Malatesti podestà di Rimini, la cui famiglia offre appoggio al cardinale sperando di averne in cambio il controllo di Cesena, dove Malatestino è stato podestà nel 1292, 1294 e 1295.

Suo fratello Paolo nel 1282 era stato inviato a Firenze da papa Martino IV come nuovo capitano del popolo e conservatore della pace. Il primo febbraio 1283 Paolo aveva però rinunciato all’incarico. Malatesta da Verucchio, padre di Malatestino e di Paolo, si è impadronito di Rimini il 13 dicembre 1295, cacciando i Parcitadi che erano funzionari imperiali, alla cui famiglia apparteneva sua moglie Concordia, nipote di quel Montagna ucciso in carcere e ricordato da Dante assieme ai suoi assassini: “’ l mastin vecchio e ‘l novo da Verucchio / che fecer di Montagna il mal governo” (Inf. 27, 46-47). Il legato d’Acquasparta è stato ministro generale dell’Ordine dei frati minori per venticinque anni, prima di esser nominato cardinale nel 1288.

Dante lo ricorda tra gli interpreti scorretti e infedeli della regola francescana (Pd. 12, 124). Frate Matteo voleva evitarne il rigore, per cui “ favorì e sostenne quelli che pur facendo verbale omaggio alla povertà erano per un ordine potente e ricco”. A lui Dante contrappone il ‘rigorista’ Ubertino da Casale che aveva conosciuto personalmente e con il quale ebbe “ fertili incontri”. Pochi giorni dopo che il cardinal Matteo è giunto a Firenze, il 13 giugno Dante è eletto priore e il 15 ne assume la carica. Neppure al legato riesce di sistemare le cose. Alla fine di settembre egli lascia la città “ come disubbidiente, interdetta” (N. Machiavelli), dopo essere sfuggito a un attentato realizzato mediante un colpo di balestra, come leggiamo in D. Compagni. Il legato d’Acquasparta torna in Romagna portando in salvo a Rimini alcuni nobili fiorentini “ della fattione bianca” (C. Clementini, 1617). Tra loro, come troviamo nelle riminesi “Genealogie” di M. A. Zanotti, ci sono esponenti delle famiglie Adimari e Agolanti, che nel 1862 lo storico Luigi Tonini ricordava aver poi fatto “ ceppo di cospicua discendenza” nella stessa Rimini.

Prima di loro, nel 1246, a Rimini sono giunti gli Agli, mentre a Firenze imperversa la caccia ai guelfi di cui parla Machiavelli nelle “Istorie fiorentine”.

Le lotte politiche di Dante

L’“infausto priorato di Dante” come lo definisce Gallaratti Scotti, si chiude il 15 agosto 1300. Sono stati due mesi resi difficilissimi dalle contese mai sopite, leggiamo in Gorni. Per porre fine alle risse cruente delle opposte anime guelfe, Dante e i suoi cinque colleghi hanno decretato l’esilio di sette capi delle bande in lotta, provocando l’inasprirsi della crisi. Vista fallire la propria politica di pacificazione, nella quale (scrive Boccaccio) aveva posto “ ogni ingegno, ogni arte, ogni studio”, Dante “ prima propone di lasciare del tutto ogni pubblico uffizio e viver seco privatamente; poi dalla dolcezza della gloria tirato e dal vano favore popolaresco, ed ancor per le persuasioni de’ maggiori […] non si seppe e non si poté” sottrarre alle lusinghe della “ stolta vaghezza degli umani splendori”. E decide di “ voler seguire gli onori caduchi e la vana pompa de’ pubblici uffizi […] operando continuamente ciò che salutevole alla sua patria e a’ suoi concittadini conoscea”.

La notizia fornita da Boccaccio sull’iniziale decisione del poeta di abbandonare la vita politica è confermata da una lunga epistola latina dello stesso Dante (intitolata con le parole del “Passio”, “ Popule mee, quid feci tibi?”), vista e tradotta dall’umanista Leonardo Bruni: “ Tutti li mali e l’inconvenienti miei dalli infausti comitii del mio priorato ebbono cagione e principio”. La si legge nella biografia di Dante composta da Bruni nel 1436 e dedicata alla dotta e coraggiosa Battista di Montefeltro moglie di Galeazzo Malatesti di Pesaro. Dal primo aprile al 30 settembre 1301 Dante fa parte del Consiglio dei Cento.

Dove fronteggia il cardinale Matteo, quando questi chiede a Firenze di continuare a mantenere un centinaio di soldati a disposizione del papa “ in partibus maritime”: ma finisce in minoranza, leggiamo in Petrocchi. “ Fu questa una delle cause dell’irriducibile odio del papa contro” il poeta (G. Siebzehner-Vivanti). Il 30 novembre 1300 Bonifacio VIII, “ venuto dopo il Giubileo in maggior superbia” (F. De Sanctis) oltre che aver rastrellato “ pecunia infinita” secondo una cronista d’Asti, chiede al clero di Francia di mandare in Italia Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello re a Parigi. Il papa dichiara di volerlo in Firenze come nuovo “paciaro”. In realtà, anziché sanare i contrasti esistenti tra i guelfi, Carlo deve riportare i Neri al potere. A questo punto Dante si lascia convincere ad andare come ambasciatore dei Bianchi presso la corte papale ad Anagni (G. L. Passerini).

Dove però non conclude nulla e inizia la disavventura del suo esilio. Carlo di Valois, che dal papa ha ricevuto pure “ il titolo di conte di Romagna”, entra in Firenze soltanto undici mesi dopo, il primo novembre 1301.

Per l’occasione Malatestino (“ cosa ancor più grave agli occhi di Dante” dell’aiuto prestato al legato cardinal Matteo), è presente in città “ per accrescere il prestigio della propria famiglia” (S. Pari). La missione di Dante presso il papa è iniziata circa un mese prima. Con lui sono altri due imbelli concittadini ai quali il papa concede di tornare in patria mentre Dante è trattenuto come un ostaggio.

Nel giro di un anno l’ordinaria storia di spionaggio politico diventa per Dante un terribile tranello.

Oggi, a 700 anni dalla sua scomparsa, che cosa resta all’immaginazione comune del poeta toscano venuto in Romagna? Forse sopravvive soltanto il ricordo di Francesca che non è così semplice come può invece apparire a una lettura veloce dei fatti. I versi a lei dedicati, ha scritto Paola Manni in un volume edito nel marzo 2021, “ apparentemente così limpidi e lineari, sono stati e sono tuttora fra i più commentati e discussi del poema”. La Storia ufficiale del tempo appare anch’essa avara di notizie: “ La documentazione ufficiale latita. Se si accentuano un paio di sentenze […], il nome di Dante sparisce completamente dagli archivi dal 1306” sino alla sua morte, leggiamo in un altro testo del marzo 2021, “Per patria il mondo” di Marco Berisso.

Dal quale riprendiamo altre notizie. Il signore che ospita Dante a Ravenna (“ e che anzi, a detta di Boccaccio, fece di tutto per averlo in città”) è Guido Novello da Polenta, nipote proprio di Francesca da Rimini: egli apparteneva ad una famiglia guelfa. Diventato nel 1316 podestà della stessa Ravenna, “ riuscì a tenersi estraneo alle pressioni angioine e papali, diventando perciò un ospite ideale per una figura politicamente complessa come Dante”. (2-fine)

Antonio Montanari