
Al Teatro delle Muse di Ancona pagine sacre di Mozart e Salieri dirette da Andrea Marcon
ANCONA, 7 aprile 2025 – Tante volte ci s’interroga su come possa essere valorizzata al meglio la musica mozartiana: domanda che non trova un’unica risposta e, al contrario, suscita spesso polemiche. Da un lato ci sono quelli favorevoli a un pieno organico di concezione ottocentesca, più adatto all’acustica delle moderne sale da concerto; dall’altro c’è chi preferisce – nel nome di ideali filologici – strumenti antichi, da cui però scaturiscono sonorità talvolta difficili da apprezzare negli odierni teatri e auditorium.

Andrea Marcon è riuscito a raggiungere un efficace compromesso con l’Orchestra Frau Musika: affiatato insieme di giovani provenienti da varie nazionalità, che partecipano a un progetto di approfondimento specialistico del repertorio antico, coordinato appunto da Marcon (la sede è a Vicenza). L’ensemble – una trentina di elementi – utilizza infatti strumenti originali, senza che questo implichi un suono troppo flebile o privo di rotondità. E la migliore dimostrazione dell’efficacia di questo approccio stilistico si è avuta nel concerto ascoltato al Teatro delle Muse – prima tappa di una tournée di cinque serate – dove il direttore ha ottenuto dai suoi strumentisti sonorità davvero appaganti, sia pure in condizioni acustiche non facili come quelle della sala anconetana.
La serata si è aperta con un doveroso omaggio ad Antonio Salieri nel bicentenario dalla morte. Del musicista che a Vienna contendeva la scena a Mozart (una rivalità fonte d’ispirazione per testi letterari, teatrali e persino sceneggiature cinematografiche, come il celeberrimo film di Forman) è stato proposto il Krönungs-Te Deum in re maggiore per coro, orchestra e organo, più noto come Te Deum dell’Incoronazione. L’ascolto rende pienamente giustizia alla grandezza del sottovalutato compositore, per la capacità di flettere gli stilemi della musica sacra alla solennità quasi teatrale dell’evento che, nel 1790, aveva ispirato questa pagina: l’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II d’Asburgo.
Era poi in programma il primo dei cinque concerti per violino scritti da Mozart, quello in si bemolle maggiore K.207. Solista Paolo Tagliamento: violinista veneto che – mentre suona un pregevolissimo Pietro Giacomo Rogeri del 1701, il cosiddetto “Milanollo” – appare ancor più giovane dei suoi effettivi ventotto anni. Una volta tanto, dunque, non un virtuoso appartenente allo star-system, ma un talento di casa nostra che nel suo percorso di formazione ha seguito la trafila comune a tanti colleghi: prima il diploma in un conservatorio italiano (nel suo caso ad appena quindici anni a Milano), poi innumerevoli perfezionamenti all’estero. Evidente nell’esecuzione la sintonia d’intenti fra solista, ensemble strumentale e direttore – Tagliamento non è nuovo a collaborazioni con Marcon – che si traduce in un’accurata valorizzazione del disegno orchestrale, cui il solista partecipa come primus inter pares; ed è piacevole individuare, nel dialogo con il violino, quelle linee melodiche dove riecheggiano in modo nitido Vivaldi e Boccherini. Come spesso accade nei concerti di Mozart, il culmine dell’intensità si raggiunge nel secondo movimento: il magnifico ‘adagio’ di cui il violinista ha valorizzato il carattere intimistico, prima di approdare al ‘presto’ conclusivo, segnato da una piacevole ventata di freschezza quasi debitrice della scrittura haydniana.
Il generoso programma si è concluso col Requiem di Mozart, cui hanno partecipato il Coro del Friuli Venezia Giulia (accuratamente preparato da Cristiano Dell’Oste) e un quartetto solistico dove si poteva apprezzare la precisione del soprano Jeanne-Marie Lelièvre e il bel colore mezzosopranile di Francesca Asciotti. Sul fronte maschile, Leonardo Cortellazzi si mostrava tenore dall’emissione un po’ aspra e José Coca Loza, invece, basso di buona timbratura. Tutte voci, comunque, avvezze al barocco, valorizzate dall’esperta mano di Marcon attraverso un buon equilibrio con l’orchestra. D’altronde si sa che il fascino del Requiem è legato alla sua ricchissima ispirazione, capace di raggiunge vertici ineguagliabili nella prima parte – quella di autentica mano mozartiana – fino al culmine del meraviglioso Lacrimosa. Inutile negare, però, che questo dipende pure dalle leggende che sono nate attorno alla sua genesi compositiva: un vero e proprio giallo musicologico al quale, peraltro, l’incolpevole Salieri era del tutto estraneo.
Giulia Vannoni