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È TORNATO IN SCENA CIMAROSA

Al centro Filippo Morace (Don Geronimo) - PH Pergolini

Marco Baliani firma la regia del Matrimonio segreto al Teatro delle Muse di Ancona, nuovo spettacolo con giovani interpreti 

ANCONA, 14 ottobre 2022 – Da un po’ di tempo Il matrimonio segreto sembrava scomparso dai radar dei cartelloni teatrali. Salvo riaffacciarsi, come quest’anno, addirittura in tre distinte programmazioni. Rientra dunque fra i nuovi allestimenti quello di Ancona, al Teatro delle Muse: secondo e ultimo titolo di una stagione che celebra il suo ventennale.

Al centro Filippo Morace (Don Geronimo) – PH Pergolini

Rimasto un po’ schiacciato dal confronto con la trilogia mozartiana – l’ultima tappa, Così fan tutte, lo precedeva di appena due anni – e i capolavori di un Rossini che di lì a poco si sarebbe affacciato alla ribalta, Il matrimonio segreto (1792) un tempo era opera di repertorio. Con il capolavoro di Cimarosa si sono misurati celebri cantanti, nonché ottimi registi anche se più di rado grandi bacchette. Adesso è però difficile contare su interpreti vocali di una certa caratura: quanto mai necessaria, invece, visto che – dietro un’apparente ingenuità musicale – questo ‘dramma giocoso’ nasconde più di un’insidia per i solisti.

Comunque, anche con una compagnia di giovani si possono ottenere buoni risultati, tanto più se sostenuti da un’impeccabile esecuzione musicale e da un accurato lavoro registico. Appunto, come nel caso delle Muse. Marco Baliani firma uno spettacolo capace d’illuminare con la giusta luce questo gioiello: in una cornice essenziale  (le scene sono di Lucio Diana e i costumi d’ispirazione ottocentesca di Stefania Cempini), senza esagerare i toni caricaturali, la regia punta a mettere in evidenza una comicità che viene soprattutto dalla musica. Il matrimonio segreto, infatti, è un vertice conclamato, non tanto per i meriti del pur spiritoso libretto di Giovanni Bertati che ironizza garbatamente su certi comportamenti sociali, ma soprattutto per l’inesauribile ricchezza delle invenzioni melodiche di Cimarosa. Non è un caso che, in seguito, tanti compositori prenderanno a modello alcune situazioni, trasformandole in veri e propri topoi musicali: da Rossini in poi.

Grazie ad artisti assai duttili in palcoscenico, i singoli numeri musicali sono stati scanditi dal regista con invenzioni semplici, ma efficaci: talvolta più platealmente comiche, come nel caso del personaggio di don Geronimo, altre volte più poetiche, ad esempio quando entrano in gioco i sentimenti della coppia Carolina e Paolino. Per ottenere questi effetti con la massima economia di mezzi vengono utilizzati quattro mimi, capaci di animare un emiciclo – delimitato da soli tendaggi – che rappresenta il confine dello spazio scenico: con i loro gesti si limitano a suggerire, ma sono più che sufficienti ad accendere l’immaginazione dello spettatore. Divertentissima la fuga in carrozza che i due giovani, segretamente sposati, progettano: in palcoscenico si materializzano – basta usare gli occhi della fantasia – quattro cavalli che la trainano. Ed è una spiritosa trovata far cantare alla seconda donna la sua aria (un tributo obbligatorio alle convenzioni dell’epoca) circondata da una serie di lampadine luminose come fosse una stella del varietà. A dimostrazione che i meccanismi del palcoscenico sono rimasti gli stessi nel corso del tempo. In questo modo viene scongiurato ogni possibile rischio, pur sempre in agguato, di scivolare nell’alternanza un po’ paratattica tra arie e momenti d’insieme.

Diventa così del tutto secondario che il ventiseienne Diego Ceretta avrebbe potuto ricavare qualcosa in più dalla partitura: l’importante è che abbia diretto con piglio sicuro ed eleganza, ottenendo sonorità sempre fluide dall’Orchestra Sinfonica “G. Rossini”. E poco importa che il Paolino di Pierluigi D’Aloia sia un po’ sottodimensionato vocalmente, soprattutto in Pria che spunti in ciel l’aurora, forse la più grande aria per tenore scritta da un operista italiano nel settecento. Ci sono invece le due sorelle calate al meglio nelle loro parti: Veronica Granatiero è scenicamente perfetta nel rendere il personaggio di Carolina, combattuta tra i progetti che altri hanno su di lei e la paura di essere biasimata per aver sposato il suo Paolino; Maria Sardaryan canta benissimo ed è assai spiritosa nei panni della puntuta Elisetta. Peccato invece per la voce troppo aspra di Mariangela Marini, che non riesce a imprimere a Fidalma quell’umoristica sensualità di donna matura intenzionata a rimaritarsi. Nei panni di Geronimo, il padre ambizioso e disposto a mercanteggiare sulla dote delle figlie per innalzare il proprio status sociale, era Filippo Morace, che sa gestire i tempi comici con eccellente senso del teatro. Difficile essere altrettanto efficaci, ma Tommaso Barea, nei panni del Conte Robinson, è andato gradualmente crescendo nel corso della serata. E il loro scontro, Se fiato in corpo avete, aiuta a comprendere perché in seguito abbia influenzato tanti duetti comici. A cominciare da quello tra Dandini e Don Magnifico.

Giulia Vannoni