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Rispondere alla chiamata

“Vocazione” deriva dal latino vocatio, ovvero “chiamata, invito”, ed è un’inclinazione naturale ad adottare e seguire un modo o una condizione di vita, a esercitare un’arte, una professione, a intraprendere lo studio di una particolare disciplina. Nel linguaggio ecclesiale, più nello specifico, arriva ad assumere il significato di “orientamento”, avvertito come una chiamata di Dio, ad abbracciare lo stato religioso, il sacerdozio, e in senso più soggettivo di “disposizione”, sentita più o meno intensamente, disposizione a scelte di forme di vita e di attività strettamente connesse con la Fede. Il Signore infonde nel cuore di chi sente questa chiamata il desiderio di seguirlo da vicino. Si tratta di un progetto, di un piano, altamente personale.

Come si avverte tutto questo? Cosa fare dopo? Come comincia e come si percorre questa strada? Ne abbiamo parlato con un giovane riminese, Lorenzo Bilancioni, classe 1996, che attualmente ha “risposto” alla sua “chiamata” e ora sta seguendo il seminario.

Lorenzo, raccontaci. Com’è iniziato il tuo percorso? Come e perché hai preso la decisione di entrare in seminario?

“Ho sempre frequentato la parrocchia San Salvatore di Rimini, fin da piccolo, e sono sempre stato molto attivo, facevo l’animatore per i bimbi del catechismo, organizzavo feste ed eventi e molto altro. Dopo il diploma scientifico al liceo Einstein, ho frequentato la facoltà di Agraria a Bologna: prima la triennale e poi subito la magistrale. È stato verso la fine del mio percorso di studi che ho realmente capito cosa avrei voluto fare della mia vita, era giunto il momento di porsi quella fatidica domanda e un episodio in particolare ha generato in me una probabile risposta. È avvenuto durante un viaggio in Terra Santa, organizzato a capodanno a cavallo tra il 2019 e il 2020. Eravamo un centinaio di coetanei, e questa esperienza è stata per me fonte di grande arricchimento personale e spirituale. Insomma, a casa, tra i ragazzi della mia età, e a scuola, ero un po’ l’unico a frequentare la chiesa, invece, in mezzo a quel gruppo ho conosciuto tantissime persone che condividevano come me un forte sentimento di fede e di religione. Così, ho preso la mia decisione. Il servizio in parrocchia mi ha sempre appagato, divertito, reso felice; Dio l’ho sempre sentito vicino, a sostenermi in ogni momento, senza abbandonarmi: mi sono sentito accompagnato, guidato, ispirato. Certo, inizialmente ero titubante, impaurito forse, della grandezza e dell’importanza di questa scelta. Però sentire l’accompagnamento di Dio, che aveva in continuazione operato nel profondo della mia esistenza, mi ha donato la risolutezza e l’audacia giuste per procedere”.

I tuoi cari, come la famiglia e gli amici, ti hanno sostenuto?

“Mi sento davvero fortunato nell’ammettere che sì, assolutamente, mi hanno tutti sostenuto. I miei genitori in primis, che non smetterò mai di ringraziare, mi hanno sorriso e mi hanno detto: ‘Ti vediamo felice e questo è l’importante’. Tra gli amici ho sentito percezioni di stima e apprezzamento e ne sono davvero grato”.

Qual è stato il primo passo?

“Prima mi sono recato dal rettore del Seminario Vescovile di Rimini, don Paolo. Ci siamo incontrati due o tre volte, per discutere approfonditamente del mio percorso. Poi ho iniziato la Propedeutica. Si tratta di un corso della durata di due anni, durante il quale ragazzi e giovani adulti intraprendono un cammino di discernimento riguardo la propria vocazione. Momenti di preghiera, di studio, di condivisione durante tutta la settimana e, solitamente, il weekend si torna a casa. I seminaristi sono guidati da un’equipe formativa della quale fanno parte tre presbiteri, ovvero un responsabile, un vice-responsabile e un padre spirituale. Nel percorso comunitario si inseriscono cammini personalizzati per introdurre i giovani ad una più profonda vita spirituale, e per completare una formazione culturale di base, qualora necessario. Infatti, per esempio, durante i miei due anni di Propedeutica, vi erano alcuni ragazzi che stavano finendo il loro percorso di studi universitari. La Comunità Propedeutica Residenziale Interdiocesana di Romagna ha sede a Faenza e così proprio lì ha avuto inizio la mia strada”.

Come prosegue il percorso?

“Da quest’anno sono al Seminario Regionale di Bologna. Sto attualmente frequentando il primo dei cinque anni di Teologia che mi aspettano, e che aspettano tutti i seminaristi. Sono cinque anni di studio, di laurea, che verranno seguiti da un sesto, di impostazione più applicativa. Una novità è che da ora, tra il secondo e il terzo anno, ce n’è un altro integrativo: un anno di esperienza da passare fuori dal seminario, un’opportunità più pratica, di lavoro, di servizio”.

Quanti ragazzi ospita il Seminario?

“Qui a Bologna ora siamo circa una ventina. Se però escludiamo alcuni che sono in dirittura d’arrivo poiché frequentanti l’ultimo anno e altri due seminaristi adulti che stanno seguendo un percorso personalizzato e più ridotto, più o meno una quindicina, provenienti dalle diverse diocesi della Romagna”.

È un numero forse ridotto… cosa ne pensi? È giusto dire che è in corso un distacco tra i giovani e la Chiesa? Un calo di vocazioni?

“Il numero è quello che è. Certamente rispetto agli scorsi anni più ridotto, esiguo. Ma non esiste un numero giusto, secondo me. Se il Signore chiama questi, vuol dire che ha bisogno di questi. Si tratta di qualcosa che non si può in alcun modo forzare, anzi, è qualcosa che accade e prosegue in maniera del tutto naturale. In più… la vocazione è una chiamata che può essere avvertita in qualsiasi momento”.

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

“Forse sono banale se rispondo: essere felice? Ciò che desidero ardentemente è realizzare in pieno la mia vita, il che non significa fare delle esperienze o cose straordinarie, ma mettere a frutto le mie qualità, tutto ciò che ho e farlo per me, per gli altri, e soprattutto vorrei sentire quella sensazione di appagamento, gioia, serenità da poter affermare con certezza: ce l’ho fatta. Solo questo”.