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Rimini: una Chiesa nella storia

Nella società civile e nella Chiesa negli anni 1968-76 grandi avvenimenti portarono tensioni e difficoltà. Basti pensare alla riscossa studentesca e operaia, alla ricerca di nuovi spazi di cultura e di partecipazione; alla lettera enciclica sulla “regolazione della natalità” di Paolo VI (Humane Vitae); alla nascita di gruppi di contestazione anche all’interno della Chiesa; al referendum sul divorzio; ai gruppi di socialisti cristiani.
Mons. Biancheri guardava con animo sereno e grande fede questi avvenimenti.
Così sintetizza il suo atteggiamento nel discorso introduttivo alla tre giorni estiva del clero nel 1974:
“Il Concilio è stato un momento di rinnovamento; non tutta la Chiesa, però, nelle sue varie componenti – laici, sacerdoti, religiosi – ha ancora accettato e perseguito il cammino iniziato dal Concilio; per cui ci sono tensioni e scontri di mentalità. La riflessione teologica si è approfondita e diversificata; diverse esperienze di Chiesa si rifanno a diverse espressioni teologiche. Il problema della secolarizzazione e il rapporto fra la Chiesa e il mondo ci trova ancora divisi su concezioni diverse. La Chiesa di Dio che è in Rimini non è avulsa dal contesto storico in cui vive; perciò anch’essa ha i suoi problemi e difficoltà.
Il nostro impegno di fronte a queste difficoltà deve portarci a: un dialogo ricco di ascolto e di comprensione fra noi: tutti abbiamo qualcosa da imparare; una volontà di camminare insieme, senza attardarci, senza fughe o isolamenti; una partecipazione responsabile alla soluzione di tutti i problemi diocesani”.
Nonostante le difficoltà questo periodo fu ricco di belle e innovative esperienze, con decisioni forti e coraggiose.

Un prete operaio
per il mondo del lavoro

Nel 1973 ordinava sacerdote don Renzo Gradara, che già da un anno, come diacono, lavorava in fonderia a Villa Verucchio.
Fu una scelta precisa e coraggiosa, che richiedeva l’appoggio di tutta la comunità diocesana.
Don Renzo avrebbe esercitato il suo sacerdozio “in mezzo alle macchine della fabbrica”; “avrebbe offerto al Signore il sudore di tutto il giorno, ma offrirà una funzione di guida, di consacratore”.
Queste parole furono pronunciate dal Vescovo nell’omelia di ordinazione di don Renzo.

Una Chiesa povera
per i poveri

Il 1° luglio 1974 inizia la perequazione obbligatoria fra il clero dopo ampia discussione in un presbiterio generale e decisionale.
Ogni parrocchia, a seconda degli abitanti e della categoria, verserà una quota annuale fissa, gestita da una commissione di sacerdoti, eletti nei Vicariati. Furono prese anche alcune importanti decisioni: creare gemellaggi fra parrocchie ricche e povere, costruire chiese modeste e funzionali; impedire spese inutili o non necessarie.
In una meditazione al clero riassumeva mons. Biancheri così il suo pensiero;
“Non deve succedere che un sacerdote abbia più del necessario e un altro pochissimo, che una Chiesa abbia tutto e un’altra neppure l’indispensabile”.
“Per questo dobbiamo sentire una meravigliosa solidarietà fra di noi”.
“I nostri fedeli devono vedere che noi facciamo veramente quello che diciamo, che non ci troviamo in contrasto con il nostro annuncio e la nostra realtà di comunione sacerdotale diocesana”.
“Rivedere la priorità delle spese, tenendo presenti i bisogni dei poveri, delle missioni; eliminare le cose superflue; individuare le eventuali ingiustizie; favorire la partecipazione del popolo di Dio alla gestione dei beni della Chiesa; verificare i bilanci; favorire il distacco graduale dei sacramenti dal danaro. Tutto ciò si impone oggi come un dovere che nasce dall’imperativo della fede vissuta in questa società che ha bisogno di concretezza e di segni”.

Il convegno di Miramare
su “La Chiesa e
i problemi dell’uomo”

La Cei per il 1976 aveva proposto un grande convegno a Roma su “Evangelizzazione e promozione umana”.
La Chiesa riminese si preparò a questo evento con il Convegno di Miramare nel 1975 su “La Chiesa e i problemi dell’uomo”. L’ampia partecipazione fu il segno tangibile che la dottrina del Concilio era stata presa sul serio, almeno da larghi strati del popolo di Dio.
Mons. Biancheri fu il protagonista principale, il Maestro e il Pastore. Fu per lui un’occasione propizia in mezzo alla disparità di opinioni, alle proposte e alle critiche, alla tempesta dei consensi e dei dissensi: mantenne sempre la calma e richiamò tutti ad uno stile di vita.
“È un momento della vita della Chiesa locale riminese. Un momento di ascolto reciproco e di dialogo, aperto a tutti quelli che si riconoscono nella Chiesa. Abbiamo detto che è un momento di ascolto, ascolto di tutti, anche di coloro che nelle loro posizioni possono sembrarci parziali o unilaterali. Pur in ascolto critico, dobbiamo saper cogliere quell’animo di verità che è presente in tutti. Quando preghiamo, quando ci ascoltiamo, quando dialoghiamo, stiamo ricercando Cristo”.
Dal Convegno, fra l’altro, nacquero due importanti decisioni: costituire la Commissione Justitia et Pax, che vigilasse e denunciasse ogni forma di ingiustizia nella società e nella Chiesa; la nascita di un settimanale diocesano.

Il Ponte: una voce
per la Diocesi

Da diversi anni la Chiesa riminese sentiva la necessità di avere un settimanale, che contribuisse all’unità interna della Diocesi, diffondendo la parola del Vescovo, facendo conoscere le vicende della comunità diocesana e delle parrocchie, e le esperienze più vive della Chiesa.
Ma il settimanale diocesano doveva essere anche un efficace strumento per un’incidenza dei credenti sulla vita sociale. Senza settimanale la Chiesa locale non aveva una tribuna dalla quale pronunciare una parola di fede di fronte ai problemi ed avvenimenti della società.
Affidò il compito di affrontare il problema al Centro Studi, Si fece un incontro a livello diocesano, con preti e laici; i preti nelle riunioni di Vicariato ne discussero e diedero parere favorevole.
Ci vollero però diversi anni per risolvere tutti i problemi di carattere tecnico per trovare la direzione e la redazione. Quando uscì il primo numero, il 25 dicembre 1976, mons. Biancheri fu felice della realizzazione, ma quel primo numero portava tanta amarezza alla Diocesi: in prima pagina, a caratteri cubitali, la notizia: «Il Vescovo ci lascia». (6-fine)

don Fausto Lanfranchi