Home Attualita Rimini e lo sballo: fiction o profezia?

Rimini e lo sballo: fiction o profezia?

Le lancette della Riviera di Rimini sono tornate indietro al 1985? In quell’anno impazzava nelle librerie di tutta Italia il romanzo Rimini del defunto Pier Vittorio Tondelli, in cui la città veniva presentata come luogo della perdizione in cui era facile trovare sesso, droga e, talvolta, morte. Per lo meno in estate. Quest’anno il best-seller – un mix di noir, giallo e rosa – celebra i 30 anni con una riedizione di Bompiani che, fatalità del caso, è avvenuta in concomitanza con la cronaca nera della scorsa estate che ha raggiunto i media nazionali: dalle risse in spiaggia alla morte post-discoteca.
IlPonte ha intervistato il critico letterario Fulvio Panzeri, massimo esperto di Tondelli, che sulle pagine di Repubblica ha recentemente ricordato come per lo scrittore la città fosse “una metafora dell’inganno, niente di felliniano”.

Panzeri, la Riviera si vanta di vendere il sogno felliniano. Da osservatore esterno e studioso dell’opera di Tondelli, qual è la sua impressione?
“Rimini è una città dell’immaginario e il sogno felliniano è un misto di poesia e surrealtà, di ossessioni e deformazioni. Più che vendere il sogno felliniano, Rimini e la sua riviera sono parte di questo sogno, come ha ben visto Tondelli che ha raccontato una città dalla doppia natura: quella estiva e quella invernale; quella carnevalesca delle spiagge e quella delle discoteche dove vivere, anche per un breve periodo, il sogno parallelo di un mondo trasgressivo dove tutto è possibile, soprattutto per le generazioni più giovani. Dove giocare anche alla roulette con la propria vita”.

Che Rimini era quella che si presentava agli occhi del turista degli anni Ottanta, descritta da Tondelli?
“La Rimini di Tondelli è una metafora dell’Italia di quegli anni. Un grande Luna Park estivo, una città-giocattolo vissuta negli eccessi e in quella dimensione dell’immaginario collettivo che la trasforma radicalmente per tutta una stagione destrutturandone l’identità e amplificando quei caratteri della finzione ad uso del turismo di massa. Rimini diventa un controcanto americano della provincia italiana che sogna un luogo in cui tutti i desideri possono essere possibili. Una fuga dentro un videogioco immaginario, segnato dal tempo della vacanza. La città descritta da Tondelli è un non-luogo «dove i sogni si buttano a mare, la gente si uccide con le pasticche, ama, trionfa o crepa». Aveva pensato ad un romanzo spietato sul successo, sulla vigliaccheria e sui compromessi per emergere”.

Dopo la cronaca della passata estate, la “Rimini degli eccessi” è ancora attuale?
“Tondelli, nella sua capacità di osservazione di un paesaggio e della «fauna» che lo occupa, aveva avuto uno sguardo profetico: sapeva che quella «palude di anime bollenti» non avrebbe retto rispetto alla sfrenata deriva dello «sballo». Effettivamente, l’attualità del romanzo ce l’ha offerta la cronaca stessa con la chiusura di discoteche che sono state un simbolo della Rimini-come-Hollywood. Il best-seller, del resto, non si chiude con un lieto fine: l’autore sa che non ci sarà, e la cronaca gli darà ragione. Tutto finisce con un angoscioso interrogativo: l’annuncio di una ipotetica Apocalisse che può travolgere la finzione di questo mondo provvisorio e irreale dal quale è possibile essere risucchiati. Anche per sempre”.

Come mai il romanzo ebbe così tanto successo con la sua uscita?
“È piaciuto al pubblico perché, da puro osservatore, Tondelli è riuscito a mettere in luce gli eccessi e le contraddizioni di una Riviera adriatica che in quegli anni era ritornata molto di moda. Egli era diventato uno dei giovani scrittori di riferimento in Italia nei primi anni Ottanta e questo romanzo rappresenta una svolta nel suo percorso letterario. Con Rimini ha voluto scrivere il romanzo-romanzo e lo costruisce raccontando una storia piena di trame che ruotano attorno a un giovane giornalista milanese che arriva nella Riviera Romagnola per raccontare l’estate”.

E oggi che storia racconterebbe di Rimini?
“Questo bisognerebbe chiederlo a lui, che traeva la materia dei suoi libri e dei suoi reportage giornalistici da un’acuta capacità di osservazione di luoghi, persone e tendenze culturali. Potrebbe anche darsi che di Rimini non avrebbe più voluto scrivere”.

Mirco Paganelli