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Referendum anti trivelle: perché Si, perché No

referendum-anti-trivelleREFERENDUM ANTI TRIVELLE  – LE RAGIONI DEL “NO”

C’è chi dice no al referendum. È il caso del geologo Pierluigi Vecchia, attualmente manager della Po Valley.
“Questo referendum è inutile, sbagliato, dannoso per lo strumento stesso del referendum, delegittimato e sminuito a mero atto di forza fra opposte fazioni – attacca Vigna -. E dannoso per le conseguenze sulla credibilità e sulla crescita di questo Paese. Lo si capisce già dalla terminologia utilizzata. È più comodo parlare di trivelle che di impianti di perforazione; ma le prime sono usate per piantare i paletti dei vitigni, installare pali di sostegno, perforare pozzi per l’acqua, i secondi sono complesse macchine industriali che necessitano di tecnologia sofisticata per condurre le operazioni correttamente anche per la salvaguardia ambientale e la tutela dei lavoratori. Le trivelle colpiscono molto più l’immaginario collettivo”.
Se vincessero i «sì» cosa accadrebbe?
“Accadrebbe che trenta concessioni di produzione e circa cento impianti rischierebbero di non andare avanti. Di questi, però, la maggior parte è operativa per la ricerca di gas, che l’ambientalismo illuminato riconosce come la fonte essenziale per traghettarci verso un futuro di energie altre”.
A chi parla di rischi di incidenti e di inquinamento, cosa risponde?
“Il nostro Paese è all’avanguardia sia per la normativa sia per tecnologia e professionalità. In 50 anni di attività in Adriatico, più di 1.500 pozzi perforati e 150 impianti di produzione, è accaduto un solo incidente degno di nota ma senza inquinamento rilevante: nel 1965 la piattaforma Paguro (gas naturale) si incendiò e si inabissò causando la morte di tre tecnici. Ora quel relitto è un sito di interesse comunitario, un luogo ricchissimo di fauna e flora marina e ricercato per escursioni subacquee. Chi racconta di potenziali incidenti nell’Adriatico analoghi a quello del Golfo del Messico del 2010 racconta una favola: non esistono le condizioni geologiche, di giacimento, meteo-marine, tecniche, normative per cui possa accadere qualcosa di analogo”.

REFERENDUM ANTI TRIVELLE  – LE RAGIONI DEL “SI”
Massimiliano Ferronato
, professore di Analisi numerica, Sviluppo di modelli per la previsione delle subsidenze e dell’impatto geomeccanico dell’estrazione di idrocarburi all’università di Padova, di trivellazioni se ne intende.
“Geologicamente la pianura padana e la dorsale adriatica fino all’Abruzzo presentano diversi giacimenti promettenti, alcuni sfruttati dagli anni ’50 – spiega Ferronato –. L’area è abbastanza ricca e in mare i giacimenti si trovano a una profondità tra i 1.000 e i 1.500 metri. Il gas è contenuto nei pori di una roccia molto dura che viene bucata e da lì si succhia. L’effetto è quello di una spugna rigida: quindi, estraendo, la roccia si compatta e si realizza una deformazione che arriva alla superficie”.
Questo significa che il suolo si abbassa?
“Sì, si chiama subsidenza. Non bisogna aver paura a priori perché può essere studiato e previsto. In Adriatico abbiamo conoscenza di cosa può succedere grazie all’elaborazione di modelli matematici che si applicano con ottima affidabilità. Il fenomeno è insignificante se il suolo cala di 10 centimetri in mare aperto, perché produce un impatto minimo, ma se si verifica accanto alla costa il risultato è ben diverso: un abbassamento di 10 centimetri a sottomarina significa perdere un chilometro e mezzo di spiaggia”.
Quindi meglio non trivellare?
“Si deve considerare la vulnerabilità del territorio per prevedere quale sarà l’impatto e dunque decidere quando e dove trivellare. Non dobbiamo, però, usare un approccio ideologico: sfruttare le risorse ha un impatto importante per l’economia, sia per quanto riguarda i posti di lavoro sia, soprattutto, rispetto alla bilancia dei pagamenti”.
Che confine rappresentano le 12 miglia marine?
“Le 12 miglia sono un confine più sicuro per la linea di costa che subisce una subsidenza minore. Ma in mare il fenomeno è solitamente poco significativo. Terromoti? Gli studi hanno rilevato un collegamento e in genere si tratta di microsismi di 1- 1.5 gradi, ma se pensiamo al terremoto che nel 2012 ha colpito duramente l’Emilia, tutti gli studi condotti hanno detto no: non esiste alcun collegamento. La trivellazione raggiunge i mille, millecinquecento metri di profondità, mentre il sisma ha avuto l’epicentro a 6 km di profondità e si sa che il sisma indotto dalle trivellazioni non si può propagare oltre i 300 metri”.