Home Vita della chiesa “Questo è il grande tempo della misericordia”

“Questo è il grande tempo della misericordia”

Annunciare Cristo in un mondo di ”feriti”
“L’Evangelii Gaudium è la riproposizione della missione della Chiesa verso l’uomo, così come egli appare a partire dallo sguardo di Cristo, con le sue insopprimibili esigenze di eternità e con la sua incalpestabile dignità”. Queste parole pronunciate dal cardinal Gualtiero Bassetti, nell’incontro che la XXXV edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli ha dedicato all’ “enciclica” di Francesco, sintetizzano tutta la portata del messaggio che il Papa ha voluto riaffermare nella sua prima Esortazione.

Un messaggio, una sfida, che il Meeting sente propria e che ha voluto testimoniare nella edizione appena passata, già a partire dal titolo: Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo. Tanti i convegni, le testimonianze, le mostre, ma anche gli spettacoli che hanno incontrato queste periferie, che le hanno abbracciate, raccontate. Ed è accaduto proprio come ci ha ricordato Papa Francesco nel suo messaggio inviato all’inizio della manifestazione «Le periferie non sono soltanto luoghi, ma anche e soprattutto persone – tanto che, ha continuato – la Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria».
Dà speranza il poter incontrare persone che pur nella difficoltà, nel dolore, nella persecuzione, nella sciagura, hanno lo sguardo fisso sull’essenziale. Persone che gridano l’insopprimibile esigenza di eternità. Allora, andare verso le periferie è la modalità attraverso la quale possiamo riconoscere sempre di più questo essenziale, possiamo vivere quella presenza talmente importante che senza di essa la realtà non avrebbe significato.

Ed è questo che ci permette di essere interessati a tutto, a qualsiasi aspetto della vita, che ci fa interessare al bisogno dell’altro, di ogni uomo. «Senza la misericordia – ha affermato papa Francesco in un suo discorso ad Aparecida, in America Latina – c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono e di amore». Quello stesso “sguardo redento” di cui ci ha parlato padre Pizzaballa durante l’incontro inaugurale del Meeting, incentrato sul “Potere del cuore”, riferendosi alla dolorosa situazione del Medio Oriente. «Credo che – ha affermato – sia un errore limitarsi a una professionale analisi politica, sociale, storica di quanto sta avvenendo, sempre che si riesca a fare, senza uno sguardo religioso, cioè redento, che aiuti a leggere e interpretare gli eventi, senza tuttavia lasciarsene travolgere. I due ambiti sono necessari uno all’altro. Abbiamo bisogno di esperti che ci aiutino a comprendere i radicali cambiamenti a cui stiamo assistendo dal punto di vista politico, economico e sociale. Ma abbiamo anche bisogno di uno sguardo alto, ampio, libero da paure e complessi».
«Ma qual è l’uomo verso cui andare?» si domandava il cardinal Bassetti nel suo incontro sull’Evangelii Gaudium: «Le periferie esistenziali e materiali sono luoghi abitati dall’uomo così “come è” (nel bene e nel male), non “in astratto”, cioè dall’“uomo come dovrebbe essere”. Noi non dobbiamo cercare la compagnia dell’uomo “come dovrebbe essere”, ma dell’uomo e della donna così come essi sono, anche quando non condividono le nostre posizioni. In quest’uomo, pertanto, è possibile riconoscere – senza ipocrisia – i segni della nostra stessa dignità e fragilità, grandezza e miseria, apertura e chiusura in noi stessi».
Dobbiamo pertanto ascoltare quel grido dei poveri, come richiama il titolo del convegno che si è svolto il 28 novembre a Rimini. «Questo – ha affermato il Papa nella sua Esortazione – è il grande tempo della misericordia». Una parola che rimanda, fin dalla sua etimologia “cor miseri”, a quel cuore in grado di abbracciare i poveri e i bisognosi. «Oggi e sempre – ha continuato Papa Francesco nel testo – i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, e l’evangelizzazione rivolta gratuitamente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare».

L’attenzione al povero parte dallo studio
Quel che Papa Francesco consegna ai cristiani è una delle missioni più importanti che la Chiesa intesa come comunità possa prendere a fondamento del proprio cammino, in una società che disorienta, separa ed emargina. Il Papa ci chiede di cambiare la prospettiva, guardare oltre a ciò che ci viene appare: il povero misero e infelice e il ricco fortunato e felice.
In prima battuta, la FUCI intera è chiamata ad interrogarsi su quello che accade nel mondo giovanile, in particolare nelle università, per capire quel è il ruolo dello studio, degli studenti e del sapere nella società odierna. Spesso quel che concerne la conoscenza risulta più un peso che non un piacere ed un’ opportunità; lo studente medio è interessato a esami, votazioni, titoli riconosciuti e sceglie il percorso universitario in base alle possibilità di guadagno successive. Ciò non sarebbe del tutto sbagliato se non fosse che ciò che abbiamo elencato sopra diventa, in pratica, l’unico orizzonte e quelle possibilità di guadagno si limitano alla sfera personale dei soggetti. Riconosciamo, invece, che questi non dovrebbero essere i nostri obiettivi, ma semplicemente gli strumenti tramite i quali acquisire il sapere specifico e impratichirsi in una determinata materia. La missione dell’ università è quella di preparare e formare gli studenti nella loro maturità specialistica: ecco qui, allora, che si può intravedere il cambiamento della società, lo stravolgimento di quel pensiero rivolto al denaro e al potere fini a se stessi. Sentiamo che questa conversione deve avvenire, e la FUCI, che vive tra Chiesa e società, risulta in questo responsabile.

Il nostro studio deve valere, quindi, come strumento per permetterci di entrare nel mondo lavorativo all’insegna di quel cambiamento, con l’ obiettivo del bene comune sempre presente, nella prospettiva di preparare se stessi in funzione di quel servizio professionale, qualsiasi esso sia, dedicato agli altri. È importante ottenere un vero rapporto con il prossimo e non un semplice scambio di sapere-denaro. Attraverso la cultura e lo studio siamo chiamati a sconvolgere le dinamiche sociali che hanno portato, negli anni, i ricchi a divenire sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri: dobbiamo ricercare le cause strutturali della povertà tramite le quali la società non riesce a crescere, ma che tendono ad incentivare sempre più il divario tra ricchi e poveri.

L’appello a noi fucini va accolto nel senso di non lasciare che questi anni di università, possibilità di crescita e maturazione, siano focalizzati sull’apprendimento di nozioni asettiche, ma che ciò che facciamo produca all’interno di noi stessi, in modo personale, delle domande di senso che portino ad aprirci alle situazioni diverse dalle nostre, a non essere apatici davanti alla povertà: domandiamoci cosa significa, in modo molto pratico, studiare oggi, a livello di tempo, di spazio e di denaro, scopriremo che la nostra è una condizione agiata e comoda. Un semplice sguardo al povero e ci interroghiamo su quelle che sono le sue difficoltà, i suoi sacrifici, le sue rinunce; difficoltà che noi magari non abbiamo, sacrifici che noi magari non dobbiamo fare, rinunce che noi spesso e volentieri non prendiamo neanche in considerazione. E magari è proprio la situazione del povero che ci lascia interdetti, la sua caparbia, il suo sorriso, il suo coraggio, che lasciano trasparire il volto di Gesù: cerchiamo, allora, quell’umiltà che può aiutarci a capire come procedere a passo lento verso una radicale e libera accoglienza del povero, che non lascia adito, in ogni nostra professione, al mero e a volte pessimo assistenzialismo, ma che, piuttosto, si affida a quelle, apparentemente banali, attenzioni e cordialità che ridonano al povero non solo una mano pratica, ma quella dignità che gli è propria e che le circostanze della vita gli hanno tolto.

Come FUCI l’impegno è quello di guardare all’uomo in ogni esperienza terrena che ci si offre, e al povero ogni qualvolta ci sia la possibilità, perché è proprio colui che può riportarci alla vera essenza del nostro percorso, e alla scoperta profonda della nostra vocazione. In nome di questa scoperta, ci troviamo responsabili, ognuno nella propria vita, di questo cambiamento di prospettiva.

FUCI Rimini