Quel sostegno non sempre preparato

    Tempi difficili per il sistema scolastico nazionale. Quest’anno si parla di decreto Gelmini, di tagli, di maestro unico, di classi più numerose ma soprattutto di riduzione degli insegnanti di sostegno. Un argomento quest’ultimo che coinvolge centinaia e centinaia di famiglie in provincia di Rimini. Ma ci si deve davvero preoccupare?

    Sostegno,nessun taglio
    Partiamo da un dato. La nuova Finanziaria dispone importanti tagli sul personale scolastico: si parla di ben 87mila cattedre che spariranno nel giro di tre anni. Il ministero della Pubblica istruzione è stato molto chiaro: il nuovo rapporto alunni disabili/insegnanti di sostegno sarà di due a uno. Una novità che non apporterà grosse modifiche nel sistema Rimini, già allineato sui nuovi numeri. Per avere una conferma basta dare un’occhiata ai dati dell’Ufficio scolastico provinciale. Il numero totale degli alunni disabili (scuola d’infanzia, elementari, medie e superiori) è aumentato da luglio a settembre di quest’anno, da 800 a 810. Di pari passo, è aumentato anche il numero dei posti di sostegno: da 383 a 398. Che, se la matematica non è un’opinione, fa un rapporto alunni/insegnanti di 2.4, in linea con le nuove disposizioni. In provincia di Rimini ci sono 398 insegnanti, 23 dei quali sono destinati alla scuola dell’infanzia (a fronte di 46 casi di bambini disabili), 139 alle elementari (278 casi), 126 alle medie (247 casi) e 110 alle superiori (239 casi). Nel solo Comune di Rimini si parla di un rapporto 1 a 1 per gli 11 bambini dei nidi, cui si aggiunge un insegnante che copre il tempo prolungato pomeridiano. Dei 33 bambini delle scuole d’infanzia si contano 42 insegnanti, 9 dei quali destinati al pomeridiano. Infine 110 sono i ragazzi diversamente abili che frequentano la scuola primaria e 98 la scuola media.

    Insegnanti impreparati
    “I tagli di cui spesso si sente parlare – spiega Luca Ugolini, responsabile del settore scuola della Papa Giovanni – derivano dal tentativo di uniformare tutte le realtà italiane, per cui c’è chi ne ha beneficiato e chi invece si è visto togliere dei posti al sostegno”.
    Questo, però, se da una parte gratifica Rimini, che è in linea con le normative e gestisce bene le sue risorse, dall’altra è un limite. Se è vero che il rapporto 2:1 può andare bene nel caso in cui il maestro si debba occupare di un caso di handicap grave e uno meno grave, è altrettanto vero che se i casi sono entrambi gravi, il lavoro per il maestro è più problematico.
    In altre parole, la legge non tiene conto della gravità dei casi, che è invece un parametro importantissimo. Gli enti locali, che in provincia sono ben organizzati, in questi contesti, mettono a disposizione la figura professionale di “educatore”, che riesce in qualche modo a tamponare le necessità. L’integrazione scolastica, nella pratica quotidiana, può, quindi, contare su: insegnanti ministeriali, educatori provenienti dagli enti locali, assistenti per la comunicazione, sempre derivanti dagli enti locali e assistenti per l’igiene (vale a dire, bidelli). Ma la questione è ancora più complessa, perché si impernia su una serie di nodi strutturali che non sono mai stati risolti e continuano a trascinarsi, da un anno all’altro, da un governo all’altro, senza trovare soluzione.
    “Metà degli insegnanti di sostegno non ha il titolo – prosegue Ugolini – l’insegnamento di sostegno soffre di impreparazione professionale e la didattica, in molti casi, non esiste affatto!”.
    A complicare l’apprendimento, quindi, impreparazione professionale degli insegnanti da una parte, ma anche mancata continuità ed insegnanti curriculari (quelli cioè che hanno in consegna tutta la classe) non preparati all’accoglienza del sostegno, dall’altra.
    “Il ministero della Pubblica istruzione ha attivato corsi per la preparazione all’accoglienza della disabilità in classe, ma si tratta sempre di corsi facoltativi, a cui partecipano poche persone”.
    Altra questione che fa riflettere, è la possibilità per gli insegnanti di sostegno, di passare all’insegnamento curriculare dopo anni di lavoro.

    Chiedere l’insegnante di sostegno
    Perché il bambino affetto da disabilità abbia diritto all’insegnante di sostegno, è necessario che sia la famiglia ad attivarsi, rivolgendosi all’Ufficio Handicap provinciale. In alternativa, molte famiglie passano attraverso le varie associazioni di categoria che a loro volta confluiscono allo stesso ufficio. A questo punto, occorre una certificazione dell’handicap da parte dell’Ausl, che si avvale di una Commissione multidisciplinare. Nel caso in cui l’Azienda sanitaria attesti la disabilità del bambino, si ha diritto all’insegnante di sostegno. Il problema a questo punto, è la definizione delle ore per il sostegno. Adesso non sono più i medici ad indicare il numero delle ore necessarie al bambino, anche se in qualche caso i medici possono suggerire. È invece la singola scuola, attraverso il gruppo handicap formato da insegnanti di sostegno e curriculari, a decidere per quante ore il bambino deve essere seguito, sulla base della necessità e delle risorse a disposizione. Nel caso in cui non sia riconosciuto il diritto all’insegnante di sostegno, laddove invece l’Ausl abbia certificato lo stato di disabilità, la famiglia può fare ricorso al Tar, in genere con riscontro positivo. Si tratta comunque di casi rari, in provincia di Rimini ad esempio non se ne sono registrati affatto negli ultimi anni.

    Romina Balducci