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Quando si dice: un lavoro di… ferro

Rottamaio, robivecchio, cenciaio, ferravecchio. Cambia il nome, ma non cambia il mestiere, oggi come ieri, a Rimini come nel resto d’Italia. È il lavoro di chi passa di casa in casa a raccogliere metalli e ferro vecchio, pagandoli pochi spiccioli per poi rivenderli, a qualche euro in più, alle ditte di demolizione o alle fonderie. I più giovani lo avranno visto fare per lo più a Rom e Sinti, eredi di una tradizione di decenni nella raccolta del ferro e particolarmente dediti ad attività come questa per via della loro condizione di nomadi. I più anziani ricordano, invece, quanto questo mestiere fosse diffuso anche tra gli italiani nel primo dopoguerra, soprattutto nella zona di Gambettola, tuttora il cuore dell’industria della rottamazione e del riciclo. L’ambulante di rifiuti si chiamava stracciaio, o come insegna il dialetto romagnolo, quel che zireva i andeva a coi e fer. Fatto sta che questa figura negli anni è andata scomparendo, o almeno è stata sostituita dal lavoro di ambulanti stranieri o nomadi. Qualche anno fa, però, gli stracciai italiani sono tornati. Ed ora sono vivi e al lavoro.

Son tornati gli stracciai. Vittime della crisi, ex detenuti che non trovano la fiducia di nuovi datori di lavoro, riminesi che hanno perso il posto o che il loro posto lo hanno ancora, ma che cercano in qualche modo di arrotondare lo stipendio. È il caso, quest’ultimo, di Giampiero Amadori, noleggiatore di gommoni, a Riccione. Sulla spiaggia d’estate, in giro a raccogliere ferro d’inverno.
“È iniziato tutto cinque anni fa, dopo la fine della stagione, seguendo l’esempio di amici che già lo facevano – racconta il riminese – è un modo semplice per tirare avanti la carretta anche d’inverno”. E la carretta si tira in tutti sensi, visto che chi svolge questa professione deve naturalmente dotarsi di un mezzo, e non un mezzo qualsiasi.

Raccolta regolamentata. Soprattutto ora che la raccolta del ferro è stata maggiormente regolamentata, sono aumentati anche gli obblighi degli ambulanti. Il mezzo di trasporto, che deve avere sponde laterali e il via libera di un perito, è solo un esempio. Chi esercita la professione deve essere iscritto all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, ricevere un’autorizzazione al recupero e soprattutto possedere il «formulario di identificazione del rifiuto», come disposto dall’art.193 del D.Lgs. n. 152/2006. Ad ogni rifiuto il proprio codice, e addio ai furti di materiale come il rame, commessi un tempo e chissà ancora oggi da chi svolge questo mestiere irregolarmente.
“Almeno ora – spiega Giampiero, che come altri ha scelto di mettersi in regola adeguandosi alla normativa – l’autorizzazione ti permette di lavorare anche con le aziende”.
E le aziende, come le famiglie, ci guadagnano. La raccolta itinerante, infatti, oltre ad offrire nuove opportunità di lavoro a chi non ne ha, consente di mettere qualcosa in tasca anche ai contribuenti. Poco, più o meno 100 euro per ogni quintale di ferro, ma meglio del niente offerto ai privati che consegnano i loro vecchi pneumatici o gli elettrodomestici che anni prima hanno pagato con sacrificio.

La compravendita. Sulla compravendita, però, nessuna regola, quello del ferro è un mercato libero. Chi si dedica al mestiere di ambulante contratta al momento, offrendo a chi consegna dai 15 ai 17 centesimi al kg, e rivendendo alle demolizioni per 21 centesimi circa, l’attuale quotazione del ferro in borsa. Va da sé che uno come Giampiero, che ora si limita a due viaggi a settimana per una decina di quintali ciascuno, non si arricchisce più di tanto. Senza contare che con la crisi dell’edilizia ora ci sono meno infissi, meno cemento armato, meno scarti di lavorazione: insomma, meno lavoro per tutti. Lo conferma anche la «Riminese Rottami» e la «Metalcoop», cooperativa che dal 2012 riunisce 23 ambulanti tra Rimini e Gambettola.

Si fa per mangiare – commenta il responsabile Davide Gerardi – con il ferro non si diventa certo ricchi”. Anche qui, a proposito di vecchi stracciai, per mangiare sono arrivati anche tanti italiani. Nata per regolarizzare i Sinti e i Rom che esercitavano la professione abusivamente, la «Metalcoop» ha finito per accogliere molti dei riminesi senza lavoro o in situazioni di disagio sociale. Non a caso la Papa Giovanni XXIII ha ora richiesto la collaborazione della cooperativa per agevolare il reinserimento nel mercato del lavoro di persone seguite da assistenti sociali o attualmente detenute. E da Gambettola, dove è nata grazie anche all’appoggio di una vecchia famiglia di rottamai, l’azienda ha esteso la sua attività a comuni come Rimini e Misano. Non che in queste zone ci sia più ferro che in altre, semplicemente, secondo Gerardi ma anche per Amadori, sono aumentate le richieste perché i cittadini ora sanno che c’è chi raccoglie il materiale legalmente e pagando.

“Rimini ha bisogno di noi – spiega Metalcoop – perché in alternativa c’è solo Hera, che non paga e anzi è un costo per Comune e Provincia”.
In effetti, se si esclude l’attività di Hera, di cooperative di ambulanti in Emilia Romagna ce ne sono poche, la più vicina si trova a Bologna.
“E la gente chiama, non solo da Rimini, ma anche da altre province e regioni, dalle Marche e da San Marino”.
Così alla «Metalcoop» gli operatori, tutti quanti soci, riescono a portare a casa dai 700 agli 800 euro al mese.

Isabella Ciotti