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Quando l’opera diventa popolare

Sagra Musicale Malatestiana, recital di Cecilia Bartoli ©Riccardo Gallini /GRPhoto

Un recital del mezzosoprano Cecilia Bartoli ha inaugurato la Sagra Musicale Malatestiana al Teatro Galli con megaschermo in piazza  

RIMINI, 16 settembre 2020 – È possibile, oggi, rendere popolare la musica operistica? Dopo aver ascoltato il concerto che ha inaugurato la Sagra Malatestiana, si può tranquillamente rispondere di sì. Mentre addetti ai lavori e osservatori esterni sono tutti concordi nel concludere che ormai è arrivata l’ora d’intonare il de profundis per il melodramma, da Cecilia Bartoli arriva la migliore smentita: anche un recital di arie d’opera può diventare un evento pop. E senza snaturare la sua essenza.

Inaugurazione Sagra Musicale Malatestiana, Teatro Galli ©Riccardo Gallini /GRPhoto

L’occasione per ascoltare il mezzosoprano dalle lontane origini riminesi, che da tempo si è stabilita in Svizzera, è piuttosto rara nel nostro paese. Aveva già tenuto a battesimo il Teatro Galli nel giorno della riapertura (28 ottobre 2018) con La Cenerentola di Rossini, mentre questa volta, in veste di madrina della settantunesima Sagra, ha optato per un recital vocale, proponendo, di fatto, un vero e proprio spettacolo. Accuratamente costruito: l’orchestra monegasca Les Musiciens du Prince in piedi sul palco, diapositive proiettate sul fondale, quattro cambi d’abito e la scelta di un programma accattivante di gran presa sul pubblico, che spazia da fine seicento al pieno ventesimo secolo.

Dopo l’apertura strumentale con il celeberrimo Te Deum di Charpentier – come suonano bene Les Musiciens e quanto sono brave le prime parti! – si è passati a Händel, autore che incarna l’apoteosi dei fasti barocchi. In successione, la Bartoli ha proposto Augelletti che cantate (dal Rinaldo),una vera e propria gara di onomatopee ornitologiche fra strumentisti e voce; la splendida Lascia la spina dall’oratorio Il trionfo del tempo e del disinganno, molto ben valorizzata; e Mi deride… Desterò dall’empia, recitativo e aria di Melissa da Amadigi di Gaula. Qui la cantante ha sfoderato le sue migliori qualità: si rimane così affascinati da un virtuosismo, declinato secondo una cifra del tutto personale, che fa passare in secondo piano – fin quasi a dimenticarli – gli inevitabili limiti naturali che ogni voce possiede. Il mezzosoprano è poi passata a Rossini, con un’intensa esecuzione della Canzone del salice dall’Otello, seguita da Nacqui all’affanno e al pianto, con cui si conclude La Cenerentola: forse il punto più debole dell’esecuzione, dove si avvertiva qualche stimbratura di troppo nel rondò.

La parentesi dedicata al Pesarese era intervallata da pagine strumentali, ben valorizzate dalla bacchetta di Gianluca Capuano: nonostante una certa tendenza a retrodatare stilisticamente la musica (Rossini in realtà guardava avanti), al direttore spetta il merito di aver saputo ben gestire le dinamiche orchestrali, riuscendo a trasmettere l’idea – non facile con il piccolo organico a disposizione – del ‘crescendo’, indispensabile alla musica rossiniana. Nella seconda parte della serata, accanto all’effervescente tarantella La danza, hanno trovato spazio intramontabili canzoni dei primi del novecento, come Munasterio ‘e Santa Chiara, Mamma (portata al successo da Beniamino Gigli), Santa Lucia e Non ti scordar di me: un repertorio sdoganato da Pavarotti nella sua ultima fase pop.

Per i fuori programma si è tornati invece all’opera: prima con Il barbiere di Siviglia, dove la Bartoli, in veste di Rosina, ha sfoggiato tutta la sua verve nel duetto Dunque io son… tu non m’inganni?, in cui per il ruolo di Figaro si è materializzato Bruno Praticò, che – pur ritiratosi dalle scene – ha accettato in via d’amicizia di farle da partner; poi con A facile vittoria di Agostino Steffani (da Tassilone, 1709), trasformatosi progressivamente in una divertentissima gag musicale. Duettando con l’eccellente tromba solista, il mezzosoprano ha inanellato, con straordinaria musicalità, una serie di variazioni che un po’ alla volta sono spiritosamente sconfinate in Summertime di Gershwin. E per il commiato dal pubblico, una strizzatina d’occhio alla sua Rimini – sullo sfondo una grande foto di Fellini – con Romagna mia, che faceva venir voglia di unirsi a lei per cantare in coro.

Giulia Vannoni