Quando le ferie… sono forzate

    Passate le ferie, mai tanto attese come quest’anno dalle imprese costrette a fare i conti con il calo del lavoro, molti dipendenti continuano ad essere a “riposo” forzato. Gli ultimi dati provinciali parlano di quasi 5.000 lavoratori in cassa integrazione (3.453 operai e 1.289 impiegati), di 500 persone in mobilità e di un migliaio di precari rimasti senza impiego.
    A un anno dal fallimento del colosso Lehman Brothers, primo sintomo di una pandemia che avrebbe contagiato l’intera economia mondiale, la ripresa sembra ancora lontana. Da gennaio ad agosto 2009 le ore Cig sono aumentate del 490% rispetto allo stesso periodo 2008 (+1.000% nell’industria). Secondo uno studio della Uil, le ore Cig nonostante il calo avuto in agosto rispetto a luglio (“molte delle imprese interessate chiudono, totalmente o temporaneamente, per ferie”, specifica la segretaria generale Uil Giuseppina Morolli), l’aumento rispetto all’anno scorso rimane: le ore Cig erano state 143 in agosto 2008, sono salite a 1.185 in agosto 2009 (+729%).
    E come anticipato dall’ultimo numero del mensile TRE (dal 4 settembre in edicola con il Ponte) le previsioni sulle nuove assunzioni in provincia, calcolate sull’indagine Excelsior di Unioncamere, sono dopo tanti anni negative: 1.500 posti in meno da qui alla fine dell’anno.
    “Il grosso arriverà tra il 2009 e il 2010 – commenta il segretario provinciale della Cgil Graziano Urbinati -. Sono in corso vertenze importanti come quella con l’Scm e altre aziende per il passaggio alla Cig straordinaria. Il timore è che da una situazione di crisi ordinaria si passi ad una recessione più strutturale”.
    “Le punte più alte si registrano nel manifatturiero, nel metalmeccanico e nelle aziende che producono beni strumentali, dove c’è stato un calo degli ordini fino al 50%” rivela a TRE il presidente di Confindustria Rimini Maurizio Focchi, che aggiunge: “Ancora non si può parlare di un’inversione di tendenza”.

    Sos artigianato
    Ci sono inoltre miriadi di aziende – e lavoratori – non coperte dal “salvagente” della cassa integrazione: quella ordinaria copre solo le aziende industriali (ma non gli apprendisti) mentre quella straordinaria si applica esclusivamente alle imprese sopra i 15 dipendenti se industriali, e sopra i 50 se commerciali e turistiche. E questo in uno scenario, come quello riminese, dove il 95% delle imprese attive non supera i 10 addetti.
    C’è poi l’artigianato, un mondo a parte dove le aziende possono accedere, in caso di riduzioni di orario o sospensioni, ai finanziamenti dell’Eber (Ente Bilaterale Emilia Romagna) solo se iscritte a questo fondo. Peccato che, come raccontano a TRE alcune piccole imprese intervistate, i fondi accumulati dalle imprese in dieci anni siano stati esauriti in tre mesi. Anche nell’artigianato le maggiori criticità riguardano, secondo il direttore provinciale di Cna Salvatore Bugli, il manifatturiero: “Ci sono già 4.500 addetti in mobilità, 2.700 dei quali a zero ore. Segnali di ripresa non se ne vedono”.

    Gli ammortizzatori in deroga
    Al problema ammortizzatori cerca di mettere una pezza la Regione Emilia Romagna. Il patto siglato a maggio con le associazioni imprenditoriali e i sindacati mira a gestire le crisi aziendali e a preservare le posizioni dei lavoratori anche nei settori scoperti: aziende industriali con meno di 15 dipendenti, imprese dei servizi, del commercio, dell’artigianato e cooperative. Ciò attraverso gli ammortizzatori sociali in deroga (previsti dall’intesa Regioni-Governo del 1° gennaio 2009). “Sono circa un migliaio i lavoratori interessati in provincia” fa i conti il segretario generale della Cgil pur sottolineando il limite della durata di copertura: sei mesi più altri sei, in caso di rinnovo.
    “Con gli ammortizzatori in deroga le aziende dovrebbero essere coperte fino a dicembre 2010” puntualizza Luca Giacobbe della Fim Cisl: “Oggi puntiamo a salvare i posti di lavoro e anche l’accordo regionale viaggia in questa direzione”.
    “Grazie al patto della Regione contro la crisi, si stima che siano 40mila i posti salvati da gennaio ad oggi – afferma il consigliere regionale riminese Roberto Piva – Il patto conta su una dotazione di 520 milioni di euro, tra le risorse statali e quelle del Programma regionale del Fondo Sociale Europeo, sia per gli interventi di sostegno al reddito (la cassa integrazione) sia per la formazione”.
    Oltre al reddito e alla dignità dei lavoratori è in gioco la ricchezza del panorama imprenditoriale, regionale e riminese in particolare. “Non possiamo permettere – prosegue Piva – che chiudano imprese, magari competitive e di qualità. Per questo la Regione investirà ancora di più sui Consorzi fidi e le cooperative di garanzia”. Quanto ai lavoratori in bilico, “si stanno investendo ulteriori risorse per aiutare i disoccupati e le persone in cassa integrazione”.
    Le misure a sostegno delle famiglie più colpite dalla “tempesta” non sono mancate, anche nel Riminese. Ma se pensiamo che solo al Fondo Antirecessione Provinciale sono arrivate appena 189 domande per prestiti sull’onore (132 da parte di stranieri) contro le 500 previste, l’impressione è che oltre ai finanziamenti a monte, molta strada ci sia ancora da fare a valle, ad esempio sul fronte informazione.

    L’incubo delle zero ore
    A fine giugno le aziende attive in provincia risultavano 33.724, appena una decina in meno rispetto al 2008. Se quello della chiusura è l’ultimo disperato passo compiuto da un’impresa in fallimento, i problemi appuntati sulle agende dei sindacati sono altri. E molti. “Ci sono i pagamenti che arrivano in ritardo – spiega Giacobbe della Fim Cisl – tra approvazione e versamento, per i lavoratori in cassa integrazione che si trovano uno stipendio medio di 700-800 euro mensili contro i 1200-1300 netti, ci vogliono anche tre mesi. Con le banche che non sospendono i mutui possiamo immaginare le difficoltà, per questi lavoratori, ad arrivare a fine mese”. E c’è altro. “Ci sono le aziende che ricorrono a sospensioni e riduzioni di orario senza accordi sindacali”. Il che vuol dire, sottolinea Giacobbe, mettere a zero ore un gruppo di dipendenti senza farli “ruotare” come gli altri. I dati di agosto parlano di 1.809 persone a orario ridotto e di 757 a zero ore. Di queste ultime, circa la metà è rappresentata dalla Scm: 354 (sui 1.200 addetti totali) sono a casa da marzo. “Un discrimine” commenta Giacobbe, che si ripete seppure a cifre più contenute, in un’altra azienda del Gruppo in forte crisi, la Robopack di Villa Verucchio: “Dei 140 dipendenti, sette sono a zero ore, di cui tre invalidi”.
    Situazioni molto critiche riguardano anche la Sergiani, altra impresa del Gruppo, 40 addetti, la NT System (50 dipendenti), la BF di Misano (settore arredamenti, Cig straordinaria per quasi tutti i 40 addetti) e la Noxon di Cerasolo (anche qui 40 dipendenti).
    La lista non si ferma qui, le trattative vanno avanti e i numeri si ingrossano. Non ci saranno proteste lampanti come quella dei cinque dipendenti della sede campana di Alcatel che il 7 settembre minacciavano di darsi fuoco, tanti soffrono e aspettano in silenzio di tornare in ufficio e in officina, non appena si riuscirà ad intravedere un po’ di luce.

    Alessandra Leardini