In Italia, un processo civile, sommando i tre gradi di giudizio, dura 2.356 giorni, in Spagna 1.343 giorni, in Francia 1.309, in Polonia 955. In Europa, secondo European Judicial systems Cepej, siamo primi per durata. Ultimi per efficienza. Nell’ultima graduatoria di Doing Business (fare impresa) 2020 della Banca Mondiale, che combina una lista di indicatori, l’Italia occupa il 59° posto su 190 Paesi presi in esame. Posizione che scende al 122° posto per “tempo e costi per risolvere giudizialmente una disputa contrattuale” e risalire, fortunatamente, al 21° per “tempo, costi e recupero di crediti commerciali”. Nel primo caso il tempo richiesto per una sentenza è di 1.120 giorni (media Ocse 589), nel secondo di 657 giorni (media Ocse 620). Questo per spiegare come il funzionamento della giustizia incide sul grado di competitività di un Paese, perché è abbastanza comprensibile che nessun investitore vuole restare impigliato in dispute contrattuali o commerciali, sempre possibili, che non finiscono mai. Il tempo è denaro, tanto più per chi lo fa di professione. Purtroppo la riforma della giustizia (separazione delle carriere) di cui si discute di questi tempi non migliorerà nulla su questo fronte e l’Italia continuerà a navigare nelle parti basse delle classifiche sulla competitività. Basta sapere che dal primo rapporto “Doing Business” del 2012 all’ultimo del 2020 i tempi nazionali della giustizia per una disputa contrattuale si sono ridotti solo di 90 giorni: appena 11 giorni l’anno. E nemmeno l’informatica sta aiutando visto che il nuovo sistema per la gestione telematica dei processi, appena inaugurato, i giudici hanno scoperto che non funziona e sono dovuti tornare alla carta. Non riesce a far fare un passo avanti nemmeno il Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) se, nel 2024, i tempi per le cause civili di primo grado sono tornati ad aumentare, anche per l’incremento dei procedimenti iscritti. Continuano, invece, a migliorare, anche se molto lentamente, i tempi della Cassazione e delle Corti d’Appello. Comunque lontano dagli obiettivi fissati con l’Europa (riduzione, a fine 2024, del 95 per cento dei procedimenti civili pendenti al 31 dicembre 2019, anno base, iscritti fino al 31 dicembre 2016).
Il Tribunale di Rimini
Rimini ha un Tribunale, come le altre nove province regionali, e il suo buon funzionamento interessa i cittadini tanto quanto le imprese che qui operano e quelle che eventualmente intendessero investire. Miglioramenti ci sono stati, ma vediamo in dettaglio. In sede civile la durata media dei processi, misurato con l’indicatore definito come “disposition time”, dal 2019 al 2024, è scesa da 359 a 337 giorni, che equivale ad una riduzione dei tempi del 6 per cento. Tutto questo in presenza di un numero di processi civili definiti sceso da 3.965 a 3.246 e pendenti a fine anno passati da 3.895 a 2.986. Più marcata la riduzione dei tempi per il penale, dove la durata media dei processi, nello stesso periodo, è calata da 316 a 211 giorni, con un miglioramento del 33 per cento, mentre i processi definiti scendevano da 8.067 a 7.316 e quelli pendenti passavano da 6.989 a 4.214. In tema di riduzione della durata media dei processi, l’esito del civile è il sesto miglior risultato regionale, per il penale il quinto. Ciononostante, anche da queste parti, siamo ben lontani dagli obiettivi del Pnrr. Riassumendo: la giustizia locale, civile e penale, lentamente migliora, ma è evidente, che bisogna fare molto di più per risalire nella scala della competitività economica, ma anche democratica. Perché i tempi lunghi penalizzano, per via dei maggiori costi, piccole aziende e meno abbienti.