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Quando il cinema sostituì l’opera

L'ingresso di Minnie (Ann Petersen) nel saloon ©Andrea Ranzi

In appendice all’anno pucciniano La fanciulla del West ha inaugurato la stagione bolognese al Comunale Nouveau  

BOLOGNA, 28 gennaio 2025 – È l’anello di congiunzione fra teatro musicale e cinema. La fanciulla del West documenta, in modo più esplicativo di qualsiasi saggio specialistico, la grande trasformazione avvenuta a inizio novecento, quando un genere fino ad allora popolarissimo come il teatro d’opera sarebbe stato soppiantato dalla nascente cinematografia. Giacomo Puccini – compositore colto, lungimirante e tutt’altro che provinciale – l’aveva intuito, raccogliendo così la sfida di confrontarsi con la settima arte. Ed è forse per questo che la magnifica orchestrazione dell’avvincente storia tratta nel 1910 dal dramma di Belasco, cui il compositore aveva assistito a New York pochi anni prima, e trasformata in libretto potrebbe funzionare benissimo anche a commento delle immagini di un film.

Il soprano Ann Petersen (Minnie) ©Andrea Ranzi

L’opera, purtroppo di rara rappresentazione, ha inaugurato la stagione lirica bolognese – una sorta di coda dell’anno pucciniano appena concluso – nel nuovo allestimento firmato dal regista Paul Curran, con le scene e i costumi di Gary McCann, che è riuscito a utilizzare in modo efficace le abnormi proporzioni del Comunale Nouveau. Rispettoso delle indicazioni pucciniane (il compositore era sempre molto attento a definire i dettagli scenici), lo spettacolo ricrea nel primo atto il saloon «Polka», gestito da Minnie, dove si raduna un microcosmo di minatori venuti a tentare la fortuna in California, e nel secondo ricostruisce l’abitazione della protagonista. Solo nel terzo si allude al futuro, delineando silhouette verticali stilizzate, quasi a significare l’evoluzione di una foresta dove torri e grattacieli metropolitani prenderanno il posto degli alberi: una trasformazione speculare al cambiamento di valori della società. Nella sua appassionata arringa Minnie riesce infatti a convincere i minatori a non impiccare l’uomo che ama, facendo leva sul fatto che a tutti bisogna concedere una seconda possibilità: insegnamenti evangelici oggi irrimediabilmente messi in discussione.

Se il nucleo drammaturgico della Fanciulla del West è incentrato sull’eterno triangolo soprano-tenore-baritono, ben evidenti sono pure i richiami a Wagner, che interpretava le figure femminili – ed è proprio il caso della protagonista Minnie – come strumento di redenzione. Sono affinità, peraltro, che non si limitano alla vicenda, coinvolgendo un linguaggio musicale che guarda anche a Strauss per opulenza orchestrale e a Debussy per ricercatezza timbrica. Del resto, non è un caso che quest’opera sia stata prediletta da grandi direttori, a cominciare da Mitropoulos e de Sabata, oltre naturalmente a Toscanini che ne diresse la prima al Metropolitan.
Alla guida di Orchestra e Coro del Comunale di Bologna (quest’ultimo preparato da Gea Garatti Ansini), Riccardo Frizza ha fatto suonare correttamente gli strumentisti, concentrandosi sulla ricchezza dei colori e cercando di far affiorare quelle suggestioni legate alla natura e al folclore che riecheggiano nella partitura, senza però garantire sempre la tensione indispensabile a una musica dalla grande potenza evocativa. Il rapporto tra buca e palcoscenico è stato condotto invece con un certo equilibrio.

Nel terzetto protagonistico il soprano danese Ann Petersen, avvezza a Wagner e Strauss, è apparsa non sempre a suo agio nella cantabilità che è comunque necessaria al repertorio italiano. In ogni caso, è venuta a capo della difficile scrittura di Minnie, seppure con voce poco omogenea e non abbastanza suadente nei passaggi più lirici, fino a sembrare una sorta di Brunilde nei momenti di maggior tensione. Credibile sul piano scenico e musicale, il tenore Amadi Lagha ha disegnato con timbro accattivante un antieroico Dick Johnson. Il baritono Gustavo Castillo è stato un Jack Rance dall’emissione facile e rotonda, mai monodimensionale: spesso tracotante e invece vulnerabile quando Minnie lo sfida nella partita a poker.
Si sa, però, che La fanciulla del West è un’opera corale, con tanti comprimari. Impossibile citarli tutti, anche se la regia ha avuto il merito di caratterizzarli con cura. Il baritono Francesco Salvadori ha interpretato un convincente Sonora, mentre il tenore Paolo Antognetti disegnava Nick, il rassicurante barista. Francesco Leone, baritono, è stato il malinconico cantastorie Jake Wallace, e invece il basso Nicolò Donini ha configurato un elegante Ashby, l’agente della compagnia di trasporti. Fra i numerosi altri, da ricordare Paolo Ingrasciotta come Bello, il basso Kwangisk Park, un sonoro José Castro, e il tenore Cristiano Olivieri, lo spasimante Trin. Unica figura femminile oltre la protagonista, la fantesca indiana Wowkle, interpretata in modo anticonvenzionale dal mezzosoprano Eleonora Filipponi.
Pur trattandosi del secondo cast, l’esecuzione nel complesso ha permesso al pubblico di apprezzare un’opera che non lascia certo indifferenti.

Giulia  Vannoni